giovedì 28 aprile 2016

No till Semina su sodo, molto più di una semplice innovazione

Semina su sodo, molto più di una semplice innovazione
di Danilo Marandola

DIFFUSIONE NEL MONDO, COSA FARE PER INIZIARE
La semina su sodo si è diffusa negli ultimi anni in modo esponenziale a livello mondiale (111 milioni di ettari), anche se solo l’1% è presente in Europa. Per accrescerne la diffusione occorre favorire l’adozione di nuova filosofia produttiva basata sul rispetto della fertilità del suolo e sull’uso razionale delle risorse

La semina su sodo si propone come alternativa produttiva in grado di ridurre l’impronta ambientale dell’agricoltura garantendo, al contempo, competitività aziendale e qualità di vita degli agricoltori. Le esperienze in atto nel panorama italiano e le opportunità aperte dai programmi di sviluppo rurale di alcune regioni sembrano confermare questa opportunità e invitano a riflettere sulla necessità di favorire la diffusione di questo sistema produttivo ancora troppo assente dal contesto italiano. Gli aspetti di sostenibilità (ambientale, economica e sociale) divengono, infatti, sempre più importanti alla luce del contesto internazionale, comunitario e nazionale in cui l’agricoltura si trova a dover operare. Gli scenari proposti dal cambiamento climatico e gli impegni internazionali assunti in materia di biodiversità, acqua e suolo richiedono in modo sempre più stringente l’adozione di stili produttivi razionali, a basse emissioni di CO2 e rispettosi delle risorse naturali. Le tanto discusse azioni di «greening» richieste dalla futura pac, le indicazioni contenute nel Libro Bianco del Mipaaf o gli indirizzi forniti dalla Strategia nazionale per la biodiversità del Mattm (Ministero dell’ambiente) sono una dimostrazione di quanto le tematiche di sostenibilità ambientale stiano divenendo «calde» anche per il settore primario.

I dati preliminari forniti dal 6° censimento Generale dell’Agricoltura (Istat, 2010) forniscono un quadro allarmante che vede il numero di aziende diminuire del 32,2% (–775.000) nell’ultimo decennio. Questi aspetti interessano in modo trasversale tutto il settore primario nazionale, ma in modo particolare il comparto dei seminativi.

I seminativi interessano oltre il 54% della sau nazionale (circa 7 milioni di ettari) e rientrano nell’ordinamento produttivo di oltre 800.000 aziende (circa il 51%) di quelle attive in Italia. Se da un lato, però, i dati mostrano una drastica riduzione, rispetto al 2000, del numero delle aziende interessate dai seminativi (–34,6%), gli stessi dati evidenziano come la Sau interessata da tale ordinamento produttivo si sia ridotta solo del 4%. Questo per certi versi può essere interpretato come un indicatore del processo di specializzazione che sta interessando, e che interesserà sempre di più nel prossimo futuro, le nostre aziende agricole. Competitività, sostenibilità, professionalità sono gli elementi chiave che dovranno guidare tale processo in un contesto economico-ambientale di portata ormai globale. È proprio in questo contesto che deve essere collocata la (ri)scoperta di pratiche colturali come quella proposta dalla semina su sodo.

Cos’è la semina su sodo
La semina su sodo è un modo di fare agricoltura che si basa sulla totale assenza di lavorazioni meccaniche del terreno. Secondo una definizione di Phillips e Young (1973), la semina su sodo
può essere definita come un sistema di coltivazione che si realizza in terreni non lavorati (non dissodati) attraverso l’apertura di sottili solchi di larghezza e profondità sufficienti a ottenere un’idonea copertura del seme e senza il ricorso a nessun altro tipo di lavorazione del terreno. In semina su sodo assumono fondamentale importanza: la funzione delle radici (vive e morte) e della micro-fauna del terreno nella creazione della porosità dei suoli (foto 1)


l’avvicendamento colturale; la costante copertura del terreno sia attraverso il rilascio in superficie dei residui colturali (foto 2),


sia attraverso la coltivazione dedicata di colture di copertura (cover crop)(foto 3). 


Il concetto di semina su sodo è spesso frainteso e questo invita a chiarirne bene il significato e le implicazioni. Per molti si tratta semplicemente di un’innovazione tecnologica o meccanica che permette di seminare su terreni non dissodati.

Si tratta, invece, di un vero e proprio sistema colturale alternativo a quello convenzionale che richiede professionalità, esperienza e adeguata tecnologia (Derpsch et al., 2010). Per il buon esito della semina su sodo, infatti, non si deve tenere in considerazione solo il fattore semina, ma un intero sistema di fattori colturali e gestionali che va rivisto e adeguato rispetto a quello che caratterizza i sistemi convenzionali di coltivazione: il controllo delle erbe infestanti (foto 4a e 4b),



delle fitopatie e dei parassiti, possibilmente coadiuvato da tecnologie di precisione; la realizzazione di avvicendamenti colturali che devono essere calibrati non solo in funzione delle finalità produttive dell’azienda, ma anche in relazione alla funzione che le diverse colture possono svolgere nel miglioramento della fertilità chimico-fisica del suolo; la coltivazione di cover crops, possibilmente leguminose; le fertilizzazioni; la gestione dello stato fisico-chimico del suolo; la scelta delle varietà; le sistemazioni idraulico-agrarie. In semina su sodo questi fattori devono essere adattati alle esigenze e alle caratteristiche pedoclimatiche e produttive dell’azienda che intende convertirsi alla «non-lavorazione». Anche per queste caratteristiche, l’ideale adozione della semina su sodo dovrebbe mirare a instaurare regimi permanenti o continuativi di non lavorazione del terreno più che essere una scelta, a volte opportunistica, cui si ricorre a stagioni alterne o in modo occasionale.

Diffusione nel mondo

Secondo un lavoro di ricerca (Derpsch et al., 2010), negli ultimi 10 anni la semina su sodo si è diffusa in tutto il mondo in modo esponenziale, passando da 45 milioni di ettari nel 1999, a 72 milioni nel 2003 per giungere, nel 2009, a 111 milioni di ettari (un incremento medio di circa 6 milioni di ettaro/anno). I Paesi in cui è più diffusa sono Stati Uniti (26 milioni di ettari), Brasile (25 milioni) e Argentina (19 milioni). Seguono poi Australia (17 milioni) e Canada (13 milioni). In questi calcoli l’autore della ricerca ha escluso tutti i terreni soggetti a un regime saltuario od occasionale di semina su sodo. Solo in Asia, ad esempio, si stima che oltre 5 milioni di ettari siano coltivati per un anno in semina su sodo e arati nell’anno seguente in ragione delle esigenze di avvicendamento frumento-riso.

Anche la semina diretta, intesa come impiego di macchine in grado di seminare su terreno non dissodato in un solo passaggio operando delle lavorazioni che alterano la struttura degli strati superficiali e, in alcuni casi, anche più profondi del terreno, è esclusa da questo conteggio. Questo sistema colturale, lontano parente della semina su sodo, è adottato su milioni di ettari in Russia, Ucraina e Kazakistan. Per evitare sovrastime, nel computo delle superfici investite a semina su sodo l’autore ha considerato una sola volta anche i suoli interessati da doppio raccolto, una modalità produttiva diffusa in molte aree del mondo anche grazie a questo sistema di coltivazione. Le ragioni che stanno guidando questa forte diffusione sono legate alla maggiore competitività della semina su sodo rispetto all’agricoltura convenzionale, soprattutto in termini di risparmio di tempo, lavoro e gasolio. L’attuale diff usione in tutto il mondo testimonia la grande adattabilità di questo sistema alle diverse condizioni climatiche, pedologiche e colturali. È praticata dal circolo polare artico (Finlandia) fino ai tropici (Kenia, Uganda), dal livello del mare fino a 3.000 metri di altitudine (Bolivia, Colombia), in aree estremamente piovose con più di 2.000 mm di pioggia all’anno (Brasile) così come in aree estremamente siccitose con soli 250 mm di pioggia annuali (Australia occidentale, Cina settentrionale), in aziende di piccole dimensioni così come in aziende da migliaia di ettari (Usa, Kazakistan), su terreni con 90% di sabbia (Australia) così come su terreni con 80% di argilla. Questa diffusione dimostra come la semina su sodo non debba essere più considerata una semplice moda o una stravaganza, ma una pratica agricola ormai ampiamente consolidata. Un vero e proprio modo di approcciarsi ai concetti di gestione sostenibile dell’agro-ambiente che non può più essere ignorato dal mondo della ricerca, della consulenza aziendale, dall’industria e della politica (Derpsch et al., 2010).

Diffusione in Europa

In Europa i sistemi agronomici basati sul no-till sono diffusi su circa 1 milione di ettari, meno dell’1% dei terreni coltivati con questo sistema a livello mondiale. Secondo le stime fornite da Ecaf (European conservation agriculture federation) (2006), l’Italia annovera circa 80.000 ettari di terreno in regime di semina su sodo, equivalenti a circa l’1% dei terreni investiti a seminativi. Nel 2005 Basch asseriva che in Europa gli amministratori non erano ancora del tutto convinti che il concetto di agricoltura conservativa fosse adatto a soddisfare i requisiti di un’agricoltura pienamente sostenibile. Dal 2005, però, le cose si sono (in parte) evolute tanto che è stata la stessa Unione Europea, nel 2010 e nel 2011, ad approvare per l’Italia il lancio di due misure agroambientali che, nell’ambito dei Psr del Veneto e della Lombardia, offrono sostegno agli agricoltori che scelgono di convertire la propria azienda alla semina su sodo. Un modo diverso di fare agricoltura Gli aspetti sociali connessi all’adozione di pratiche agronomiche sostenibili sono raramente esaminati in profondità, probabilmente a causa di un assunto (implicito) secondo il quale lavorare sugli aspetti ambientali, produttivi e microeconomici della sostenibilità porti
automaticamente a tenere in considerazione anche gli aspetti sociali (Allen et al., 1991).

Gli aspetti sociali della sostenibilità possono, invece, fortemente influenzare la diffusione e l’adozione di pratiche conservative come quelle proposte dalla semina su sodo. È dimostrato, ad esempio, come la formazione del capitale sociale abbia favorito in molti Paesi lo sviluppo di azioni collettive di conservazione del suolo, contribuendo a una più rapida e diffusa adozione delle buone pratiche agricole (Cramb, 2005). Le pratiche di agricoltura conservativa rappresentano per le aziende e per gli agricoltori qualcosa di più di semplici innovazioni in quanto vanno a sovvertire il tradizionale modo di fare agricoltura che ha caratterizzato, almeno nell’ultimo mezzo secolo, il comparto dei seminativi in Italia. La «filosfia» produttiva proposta dalla semina su sodo chiede agli agricoltori di abbandonare le tradizionali pratiche di coltivazione e di adottare nuovi paradigmi produttivi che richiedono nuove competenze e nuove capacità tecnico professionali che, in molti casi, mettono alla prova anche il dinamismo e l’elasticità degli stessi operatori. Non a caso ricerche di settore ed esperienze aziendali confermano come l’agricoltura conservativa sia più velocemente e facilmente adottata dagli agricoltori più giovani, quelli evidentemente più predisposti a mettere in discussione il proprio bagaglio di esperienze per aprirsi a nuovi modi di fare agricoltura. Alla luce di ciò appare chiaro che la «rivoluzione» dell’agricoltura conservativa dovrebbe partire in primo luogo da una crescita culturale, tecnica e professionale del capitale umano rappresentato dagli agricoltori, dagli agrotecnici e dai professionisti della consulenza aziendale, figure che oggi sono chiamate ad approcciarsi in modo nuovo ai concetti di sostenibilità e di uso razionale delle risorse in agricoltura. Fattori che possono favorire la diffusione Una serie di condizioni ambientali possono favorire la diffusione della semina su sodo. Fra queste: natura acclive dei terreni; problemi di erosione; climi aridi o periodi siccitosi particolarmente intensi e lunghi; degrado e stanchezza dei suoli; riduzione delle capacità e potenzialità lavorative; alti costi di produzione e bassi prezzi di vendita; riduzione dei sostegni in agricoltura. In queste condizioni l’adozione della semina su sodo può risultare più rapida, specialmente se i risultati di campo sono sin da subito incoraggianti. La presenza nel territorio di organizzazioni, di associazioni e di agricoltori che hanno maturato una certa esperienza nel sistema può, inoltre, contribuire in modo determinante alla diffusione di questo nuovo paradigma produttivo.

Alcune esperienze in corso nel contesto italiano dimostrano come gli agricoltori che adottano il no-till siano in grado di valorizzare questi aspetti grazie alla loro particolare attitudine a fare rete e a condividere esperienze e risultati (Marandola et al., 2009). I tecnici della consulenza e gli agricoltori «pionieri» sono pertanto chiamati a svolgere il ruolo di animatori locali per convincere i colleghi che l’agricoltura conservativa è un modo possibile, conveniente e opportuno di coltivare. Questo richiama la necessità di realizzare visite ai campi, di mostrare il funzionamento delle macchine e di dimostrare i benefici connessi all’adozione della semina su sodo.

Come e cosa fare per iniziare

Una delle principali cose da fare in vista di una conversione aziendale alla semina su sodo è la definizione di un buon programma di rotazioni colturali.
L’importanza degli avvicendamenti nella conservazione dello stato di fertilità dei suoli è riconosciuta ormai da molti anni, ma oggi diviene oggetto di particolare attenzione alla luce delle richieste di greening avanzate dalla pac post 2013. Tale importanza diviene ancora più rilevante nei sistemi agronomici no-till in quanto è proprio dalla mirata rotazione delle colture che dipende lo stato fisico (porosità, struttura) e chimico (dotazione di elementi minerali, contenuto di sostanza organica) dei suoli. In semina su sodo, infatti, è l’alternanza di apparati radicali fittonanti o fascicolati, robusti o capillari, che permette di riproporre in modo seminaturale quelli che sono gli effetti fisici normalmente realizzati dalle lavorazioni meccaniche del terreno. Inoltre, un’attenta rotazione colturale può contribuire a facilitare la gestione delle erbe infestanti o a contenere il carico di parassiti e patogeni presenti in campo. In più un mirato avvicendamento colturale, opportunamente integrato con cover crops proteiche, può contribuire a migliorare la fertilità del suolo offrendo anche la possibilità di contenere o razionalizzare, nel medio lungo periodo, il ricorso alle fertilizzazioni minerali. Alla luce di ciò, appare chiaro che in semina su sodo la definizione di un piano di avvicendamenti colturali debba essere funzionale non solo al prodotto che si vuole ottenere dalle diverse colture ma anche alla funzione agronomica che tali colture possono svolgere nella gestione della fertilità del suolo. Limitazioni fisiche e chimiche come il compattamento dei suoli, i ristagni, la dotazione di macro e microelementi chimici, devono essere corrette prima di convertire un terreno alla non-lavorazione. Questo è vero, in special modo, per i terreni più degradati, poveri e sfruttati che, prima di iniziare, avrebbero bisogno di particolari cure preparatorie. Fra queste, ad esempio: coltivazione di colture preparatorie come leguminose o foraggere; opere di decompattamento; opere di livellamento; opere di spietramento; opere di sistemazione idraulico-agraria (per terreni pianeggianti con problemi di ristagni, per terreni acclivi ed esposti a rischio di ruscellamenti ed erosione superficiale) (foto 5);


letamazioni e/o buone concimazioni di fondo. Secondo la Fao (2010) i suoli convertiti in modo permanente alla semina su sodo, anche quelli più degradati, generalmente migliorano le proprie caratteristiche con il passare degli anni e queste operazioni, una volta eseguite, potrebbero non essere più necessarie in seguito. Il successo della semina su sodo è legato al ripristino degli equilibri seminaturali che normalmente si instaurano in un suolo non lavorato. Il passaggio da uno stato fortemente artificiale come quello che si genera in agricoltura convenzionale a tale stato seminaturale richiede un periodo di conversione attraverso il quale il sistema suolo può stabilizzarsi e offrire i migliori risultati produttivi. La durata di tale periodo di conversione è direttamente proporzionale allo stato di salute e fertilità che si registra nel suolo al momento del passaggio alla non lavorazione: tanto più stressati, stanchi, compattati e poveri di sostanza organica sono i terreni, tanto più lunga sarà l’attesa di buoni risultati che, nei casi più estremi, potrebbero anche faticare a venire.
Cosa occorre allora per iniziare?
Bisogna prima di tutto acquisire padronanza ed esperienza con le macchine e con i concetti di base, magari partendo dalla conversione di una piccola superficie aziendale, anche per ridurre i timori connessi al rischio. In più l’agricoltore deve prepararsi e abituarsi a uno stile di vita e a un piano di lavoro completamente diversi rispetto a quelli connessi al sistema convenzionale di coltivazione. Secondo la Fao (2010) è consigliabile che l’agricoltore consulti prima agricoltori già esperti e condivida con loro esperienze e obiettivi. L’esperienza di un agricoltore che lavora da anni con questo sistema può, infatti, fornire importanti indicazioni sui fattori chiave della buona riuscita e sugli errori che devono essere evitati.

Danilo Marandola Inea - Rete rurale nazionale
APPROFONDIMENTO

Strategie a favore della semina su sodo
Per la semina su sodo esistono, sia a livello aziendale sia a livello di contoterzisti, dei gap conoscitivi e tecnologici e dei pregiudizi che andrebbero oculatamente colmati grazie al prezioso supporto dei professionisti della consulenza. Appare chiaro che questo insieme di funzioni dovrebbe essere opportunamente favorito dagli enti territoriali e dalle strutture tecniche attive a livello locale. Formazione, informazione, consulenza aziendale, ricerca, innovazione tecnologica e investimenti, agroambiente, cooperazione fra agricoltori sono elementi che dovrebbero essere messi a sistema per accrescere l’efficienza della misure Psr che saranno proposte per favorire l’adozione del no till nella programmazione post 2013.
Tra l’altro, le proposte di regolamento per la futura policy di sviluppo rurale (2014-2020) annunciano delle novità che sembrano offrire la possibilità di operare in questa direzione. In primo luogo, l’impostazione strategica indirizzata al raggiungimento di obiettivi e non più organizzata per assi a «tenuta stagna», cosa che può facilitare la realizzazione di progetti integrati a più alto valore aggiunto che sappiano utilizzare in modo complementare le diverse misure. In secondo luogo, la proposta di una misura di cooperazione di «ampio respiro» che si propone di voler favorire la realizzazione di progetti condivisi volti sia alla più ampia diffusione di pratiche agroambientali sia all’integrazione del mondo aziendale e di quello della ricerca.

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Fonte: ARTICOLO PUBBLICATO SU L’INFORMATORE AGRARIO N. 11/2012 A PAG. 44 http://www.aipas.eu/files/15-IA_Articolo_Semina_su_sodo_innovazione_D.Marandola_marzo_2012.pdf

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