mercoledì 2 dicembre 2015

L’alimentazione nei bambini


L’approccio alla nutrizione del bambino nelle varie fasce di età (persino dalla fase intrauterina) è cambiato negli ultimi anni in seguito alle ricerche e alle osservazioni sugli effetti “tardivi” delle modalità di alimentazione precoce. Sono cioè state osservate associazioni tra modelli alimentari precoci (es. allattamento al seno e sua durata) e manifestazioni a espressione tardiva (quali, per esempio, indici di performance psico-intellettiva e variazioni della massa corporea). Queste osservazioni hanno fatto sì che, accanto ai fabbisogni per la crescita, anche gli indici tardivi (definiti “di outcome”) siano entrati a far parte delle raccomandazioni alimentari per il bambino.
Nutrizione in età neonatale: programming intrauterino ed extrauterino
Il verificarsi di alterazioni nella nutrizione e nell’equilibrio endocrino durante l’epoca fetale determinerebbe un adattamento dello sviluppo in grado di modificare la struttura, la fisiologia e il metabolismo dell’individuo, predisponendolo ad alterazioni cardiovascolari, metaboliche ed endocrine con possibile espressione in età adulta. Il processo attraverso cui uno stimolo o un insulto verificatosi in periodi critici dello sviluppo determinerebbe effetti a lungo termine viene definito programming.
La normale variabilità delle dimensioni fetali alla nascita potrebbe così avere importanti implicazioni per la salute di tutto l’arco della vita. Nonostante il potenziale di crescita sia dettato dal genoma del singolo individuo, il substrato nutrizionale e il substrato ormonale all’interno del quale cresce il feto possono interagire in maniera variabile. La dieta e la composizione corporea materna a loro volta influenzano l’equilibrio tra richieste fetali di nutrienti e capacità dell’unità materno-placentare di soddisfare tali richieste. L’incapacità dell’unità materno-placentare a soddisfare le richieste fetali indurrebbe di conseguenza una serie di adattamenti fetali e una serie di modificazioni delle traiettorie di sviluppo. Queste modificazioni, presumibilmente vantaggiose per la sopravvivenza a breve termine, possono condurre a modificazioni della struttura corporea e del metabolismo, modificando la predisposizione allo sviluppo di patologie cardiovascolari in età adulta. Secondo una seconda ipotesi complementare, un precoce eccessivo intake di nutrienti determinerebbe una rapida crescita nelle prime settimane di vita, programmando in modo “avverso” la salute del sistema cardiovascolare. Tale accelerazione risulterebbe tanto maggiore quanto minore è il peso alla nascita. I vantaggi legati all’allattamento al seno supporterebbero questa ipotesi. I bambini allattati al seno, che mostrano una curva di crescita più lenta rispetto agli allattati con formula adattata, sarebbero “programmati” a diventare adulti con minore rischio di patologie cardiovascolari.
Latte materno e allattamento al seno
Il latte materno è l’alimento ideale per il bambino durante il primo anno di vita, in primo luogo per le ragioni psicoaffettive e il legame mamma bambino che attraverso l’allattamento si instaura.
Il latte materno contiene un’ampia gamma di nutrienti e di componenti bioattivi, in quantità e in rapporto variabile sia intra- che inter- individualmente e tra popolazioni. Esiste ormai evidenza che l’allattamento al seno è associato a un migliore sviluppo del sistema immunitario, dell’intestino e del sistema nervoso centrale.
I vantaggi dell’allattamento al seno sono quindi rappresentati, in primo luogo, da un importante effetto protettivo nei confronti delle infezioni. Nei Paesi occidentali, il proseguimento dell’allattamento al seno nel corso del divezzamento riduce i giorni di assenza dei genitori dal lavoro per malattia del piccolo. Un secondo vantaggio apportato dall’allattamento al seno riguarda l’effetto protettivo verso lo sviluppo di
sovrappeso e obesità, dovuto sia alle caratteristiche nutrizionali del latte materno sia alla modalità con cui il piccolo assume il latte e lo porta a un precoce senso di sazietà. Infine, la durata dell’allattamento al seno sembra anche sia positivamente correlata a un migliore sviluppo psico-intellettivo. In conclusione, l’allattamento al seno dimostra vantaggi sicuri, e in maniera progressiva, per tutto il primo anno di vita, con possibili ripercussioni favorevoli anche negli anni successivi. L’allattamento al seno dovrebbe proseguire in maniera esclusiva per sei mesi. Alcuni soggetti possono necessitare di una precoce complementazione con alimenti solidi già nel corso del quinto o del sesto mese.
Nel caso in cui l’allattamento al seno non sia possibile, o in caso di insufficienza del latte materno clinicamente accertata prima del quarto mese compiuto, si utilizzano le formule di latte artificiale per l’infanzia.
Il divezzamento e l’alimentazione del secondo anno di vita
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda l’allattamento al seno fino al sesto mese di vita compiuto, quando diventa necessario introdurre gli alimenti del divezzamento. Altre Società scientifiche (European Society for Paediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition, ESPGHAN) o istituzioni (European Food Safety Authority, EFSA), pur indicando il traguardo ideale dei sei mesi per l’allattamento esclusivo al seno, ammettono che alcuni bambini possono per varie ragioni introdurre i primi solidi tra il quarto mese compiuto e il sesto mese di vita. La definizione del divezzamento come “Complementary feeding” indica bene la modalità di alimentazione “complementare”, ovvero quello di coprire i fabbisogni nutrizionali laddove il latte materno da solo non risulta essere più sufficiente. Il divezzamento dovrebbe essere modellato sulle esigenze nutrizionali del bambino, cercando nel contempo nella varietà di sapori, colori, consistenza la chiave per incuriosire il bambino a variare le sue scelte e prevenire lo sviluppo della neofobia, ovvero il rifiuto di ogni nuova proposta alimentare. Questo comportamento è oggi favorito dall’evidenza che alimenti come pesce e uovo, molto importanti dal punto di vista nutrizionale, possono essere introdotti precocemente, in quanto il ritardo della loro introduzione non sembra prevenire la comparsa di allergie, o addirittura favorirla. Gli sbilanciamenti più comuni nel corso del divezzamento sono comunque rappresentati da un eccesso di energia e proteine, con possibile riflesso immediato su un eccesso di incremento ponderale, che può permanere anche a distanza di anni. La precoce abitudine del piccolo a frutta, verdura, cereali e legumi è un primo provvedimento preventivo, oltre che la continuazione del latte materno fino al dodicesimo mese. L’introduzione del latte vaccino intero dovrebbe avere luogo non prima del secondo anno, e tenendo conto dell’insieme della dieta del piccolo.
L’alimentazione per la seconda infanzia e l’adolescenza
L’attenzione dimostrata all’ambito nutrizionale nel primo anno di vita deve essere mantenuta anche nelle epoche successive, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione dello sviluppo di sovrappeso e obesità, e bilanciando le quantità di energia e nutrienti assunti dal bambino con la sua tipologia di attività fisica. I due termini rappresentano variabili da considerare sempre nel formulare una dieta ottimale per un bambino e un ragazzo, e tutte le più moderne indicazioni nutrizionali segnalano fabbisogni per tipologia di attività fisica stessa (considerando in genere quattro possibili livelli) oltre che per sesso (maschi e femmine), rendendo ragione del concetto della “nutrizione di genere”, che si affianca a quello della “medicina di genere”.
Alla base di questa alimentazione, stanno essenzialmente i prodotti vegetali, cereali, frutta e verdura, a sottolineare l’importanza di fornire un tipo di alimentazione di elevato valore “qualitativo” più che “quantitativo”, alla luce dei profondi cambiamenti che negli ultimi anni hanno portato all’incremento globale del rischio di obesità e sovrappeso. Il secondo concetto su cui le attuali raccomandazioni e linee guida per la nutrizione pediatrica si basano è rappresentato dal concetto dell’indice glicemico. Il concetto di indice glicemico assume particolare rilevanza in malattie croniche associate a forme di obesità di tipo centrale e di insulino-resistenza, come possibile strumento di prevenzione e per il trattamento di malattie croniche.
Molti alimenti ricchi in fibre e molecole glucidiche non digeribili dall’apparato enzimatico nell’uomo presentano un basso indice glicemico e insulinemico. Legumi, pasta al dente, pani di farina primitivamente integrale e tutti i vegetali in genere contribuiscono a modulare in senso positivo indice insulinemico e indice glicemico.
L’adolescenza è un periodo di intensa attività anabolica. Il fabbisogno in macronutrienti in questo periodo dovrebbe, da un lato, essere sufficientemente ricco da coprire le aumentate richieste dei processi di crescita e, dall’altro, dovrebbe essere modellato ancora con scopo preventivo nei confronti dei “non-communicable disorders”. Tuttavia, l’adolescenza rappresenta quell’età in cui il rischio di perdere abitudini positive primitivamente acquisite attraverso l’educazione, della famiglia prima e scolastica successivamente, diventa massimo per le prime esperienze di gruppo e i primi momenti di indipendenza economica. Il mantenimento di un’abitudine a consumare i pasti in famiglia, a partire dalla prima colazione, diventa probabilmente il primo provvedimento efficace di prevenzione.
Gli errori alimentari più comuni in età pediatrica
I primi errori nutrizionali si osservano già durante i primi due anni di vita, relativamente alla pratica dell’allattamento al seno non correttamente seguita e a un tipo di divezzamento che può portare a un’eccessiva liberalizzazione da una parte, ma anche a un eccesso di restrizioni dall’altra. Anche se ignorate nelle loro conseguenze, entrambe queste situazioni possono essere “a rischio” in alcuni soggetti, per sviluppo sia in eccesso sia in difetto della massa corporea. Nella fascia d’età tra i 3 e i 12 anni si osserva un relativo eccesso calorico rispetto alla spesa energetica quotidiana, aggravato dalla sedentarietà, dall’abitudine di saltare la colazione o di assumere una colazione inadeguata, da un’errata ripartizione calorica durante la giornata. Inoltre l’intake dei singoli nutrienti non è adeguato, soprattutto con uno scarso apporto di fibre e proteine vegetali (frutta, verdura, cereali integrali e legumi) e di pesce. Durante l’età adolescenziale, tra i 12 e i 20 anni, a questi errori si aggiunge il rischio di un irregolare apporto calorico con digiuni frequenti e dell’autosomministrazione di diete incongrue. Anche il deficit di micronutrienti può diventare importante, con uno scarso apporto di ferro, per esempio, nelle ragazze. Il provvedimento più importante sarebbe arrivare a una situazione in cui dieta e attività fisica siano reciprocamente adeguate.
Conclusioni
L’alimentazione in età pediatrica ha acquisito oggi notevole importanza per le valenze non solo preventive ma anche costitutive del futuro individuo.
Particolare attenzione va oggi ai modelli alimentari dei primi due anni di vita (e ancora più indietro alla vita fetale stessa) in base all’ipotesi del “programming” nutrizionale. Dopo i primi due anni, l’attenzione si sposta al mantenimento degli equilibri nutrizionali per prevenire i più comuni errori che si possono associare al mantenimento di condizioni a rischio (in primo luogo sovrappeso e obesità), alla cui comparsa partecipano fattori genetici e precoci fattori educativi e ambientali tra cui (come visto) le abitudini alimentari dei primi due anni.
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