venerdì 4 settembre 2015

L'olivicoltura italiana è morta. (Angelo Frascarelli - Università di Perugia)


OPINIONE o 
di Angelo Frascarelli Università di Perugia 
Olivicoltura italiana all'anno zero 
olivicoltura italiana è morta. Gli assassini sono tre: la Pac, la scarsa imprenditorialità degli olivicoltori e gli ideologi della tradizione e della qualità. Ci vorranno 20 anni per recuperare. La Xylella è una sventura che, però, è l'occasione per riconoscere gli errori e iniziare un percorso di resurrezione. Perché l'olivicoltura è morta? Il motivo è semplice: la redditività è negativa per la quasi totalità degli olivicoltori. Molti oliveti sono abbandonati o coltivati con la pratica colturale minima per il rispetto della condizionalità, prevista dalla Pac. Molti oliveti sono gestiti da pensionati od olivicoltori part time, prevalentemente per l'autoconsumo. Alcuni oliveti sono mantenuti per finalità paesaggistiche o per contribuire all'immagine dell'azienda, come nel caso di aziende agrituristiche o vitivinicole, ma non danno reddito. L'olivicoltura professionale è limitata a pochissimi casi: aziende con frantoi che integrano la trasformazione contoterzi, aziende che fanno la vendita diretta e che hanno meccanizzato la gestione dell'oliveto. Senza redditività non c'è futuro. L'unica remunerazione sono i pagamenti della Pac — spesso troppo elevati — e molti olivicoltori hanno puntato alla «caccia dei sussidi» più che al prodotto. La produzione di olio di oliva è nettamente bassa rispetto al potenziale olivicolo e continua a diminuire. 
L'INNOVAZIONE à VITALE Perché questa débàcle? Nell'olivicoltura sono mancate l'imprenditorialità e l'innovazione, mentre è prevalsa l'ideologia della qualità e della tradizione. Per troppi anni si è parlato solo di qualità in modo dottrinale, svincolato dal concetto economico di qualità, che è soddisfazione del cliente. I risultati economici del miglioramento qualitativo sono totalmente inadeguati. Sono serviti solo ad 
arricchire qualche esperto di panel test. Altro approccio ideologico è quello della tradizione. Gli oliveti sono protetti da assurdi vincoli paesaggistici, ostaggio dei burocrati che hanno imbalsamato l'olivicoltura; i vincoli non hanno tutelato gli oliveti, anzi hanno accresciuto l'abbandono. Senza rinnovamento c'è la morte, senza reddito non c'è futuro; i «protettori» degli oliveti secolari sono diventati i guardiani del cimitero. Gli oliveti italiani sono antieconomici, per questo vengono abbandonati. Chi va a potare, se la produzione non copre neanche il costo della potatura? 
BISOGNA RIMBOCCARSI LE MANICHE Inutile illudersi che si possa andare avanti con l'attuale olivicoltura italiana. Allora, che cosa fare? Due scelte. Il Ministero e le Regioni devono individuare 80-100.000 ettari di oliveti secolari e/o paesaggistici, a cui concedere 800-1.000 euro/ha per il mantenimento del paesaggio storico, chiedendo a Bruxelles una nuova misura nei Psr. Gli altri oliveti vanno sostituiti con un'olivicoltura meccanizzata, innovativa, competitiva, di qualità, che contribuisce al paesaggio. L'olivicoltura necessita di innovazione, che in primo luogo significa la ristrutturazione degli oliveti, con una «via italiana» (non spagnola). I ricercatori devono lavorare su cultivar e tecniche adatte alle realtà italiane. Un percorso lungo, purtroppo abbiamo perso 50 anni. Solo così si può dare reddito e gambe a un'olivicoltura di qualità, capace di creare fatturato, occupazione e un bel paesaggio. Utilizziamo i fondi dello sviluppo rurale per questa ristrutturazione, i cui frutti si potranno vedere fra 15-20 anni. Ma almeno cominciamo! Il devastante impatto della Xylella (totalmente sottovalutato dai soliti teorici della qualità e della tradizione) è una tragedia, che almeno ha il merito di costringere a questo percorso. 
30/2015 • L'Informatore Agrario 7

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