domenica 10 maggio 2015

Nota inviata al presidente della giunta della Regione Puglia su Xylella fastidiosa

Con una nota inviata alcuni giorni fa al presidente della giunta della Regione Puglia, che di seguito pubblichiamo, Pietro Perrino, Agronomo, già direttore dell’Istituto di genetica Vegetale del Cnr, è intervenuto sul problema del disseccamento rapido degli ulivi nel Salento, che sarebbe stato causato dalla Xylella.


Caro Presidente,

siamo persone diverse, ma tutte amanti della natura. Dal 2011, si sta discutendo del disseccamento rapido degli ulivi.  Una patologia che secondo alcuni potrebbe sterminare gli uliveti del Salento e quelli di altre regioni e nazioni. Queste ultime premono sulla CE affinché si proceda all’abbattimento delle piante malate. Mentre riusciamo a capire il loro interesse a questa soluzione, facciamo fatica a comprendere quello degli studiosi locali. Infatti, ad oggi si sa solo che si tratta di un fenomeno complesso. Per i batteriologi il patogeno responsabile è la Xylella fastidiosa. Per i micologi gli agenti potrebbero essere diverse specie di funghi, oltre che diverse sottospecie di Xylella. A ciò bisogna aggiungere i vettori (insetti), diverse specie di piante ospiti e fattori climatici.

Nel frattempo, diversi ulivicoltori salentini hanno mostrato come con alcuni accorgimenti siano riusciti, in poco tempo, a risanare piante d’ulivo che sembravano spacciate dalla malattia. Gli stessi hanno segnalato che nelle aree focolaio ci sono uliveti indenni, ergo che la virulenza dei patogeni dipende dalla vulnerabilità delle piante e dell’ecosistema: pianta-suolo-biodiversità.

Tutto ciò suggerisce delle riflessioni. Il disseccamento c’è ed è innegabile, ma è difficile pensare che possa essere risolto con l’abbattimento degli alberi affetti e ancora peggio che possa essere utile l’abbattimento di piante sane per creare un cordone (tampone) intorno alle aree focolaio. Pensiamo che entrambi i provvedimenti siano sbagliati. Nel primo caso perché le piante malate possono essere risanate e nel secondo perché si distruggerebbero piante sane, che, molto probabilmente, comprendono anche cloni naturalmente resistenti alle avversità che provocano il disseccamento.

L’approccio più razionale sembra quello agroecologico. Studi di carattere generale suggeriscono che le cause possono risiedere in un tipo di agricoltura che per decenni è stata  caratterizzata da un uso eccessivo di concimi chimici, pesticidi, antiparassitari ed erbicidi, aventi come unico obiettivo quello di aumentare le produzioni. Un’agricoltura ad alto impatto ambientale che ha reso i terreni sterili e le piante più vulnerabili alle avversità. È stato dimostrato che tutte queste sostanze chimiche rendono non disponibili per le piante i microelementi presenti nel suolo. Di conseguenza, le piante diventano più deboli e vulnerabili. L’esistenza nelle aree focolaio di piante sane può significare che si tratta di uliveti coltivati con un’agrotecnica più rispettosa dell’ambiente.

In un ecosistema sano, anche i patogeni svolgono un ruolo. Pensare di eradicarli, invece di controllarli è un grosso errore che comporta il rischio di sviluppare nuovi patogeni più virulenti.

Alla luce di queste riflessioni è di solare evidenza che la soluzione del problema non sta nello sradicamento degli ulivi né nell’accanimento contro i patogeni, ma sta nel ripristino di un’agricoltura a basso impatto ambientale, strategia suggerita dai salentini più avveduti e che dovrebbero essere più ascoltati, anche perché sono loro che vivono in empatia con le piante d’ulivo.

In conclusione, pensiamo che sia giusto finanziare la ricerca per aumentare le conoscenze sul disseccamento rapido dell’olivo, ma pensiamo anche che sia altrettanto giusto non abbattere ma curare le piante malate, seguendo anche e soprattutto le strategie indicate dagli olivicoltori locali.

Abbiamo bisogno di una ricerca che guarda all’intero ecosistema e quindi di un’agricoltura a basso impatto ambientale. Auspichiamo più dialogo tra burocrati, ricercatori e agricoltori.


Con molta stima.

Pietro Perrino, Agronomo, già Dirigente di Ricerca del CNR di Bari

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