venerdì 22 agosto 2014

Pietro Perrino: nelle stesse aree delle piante infette di Xylella Fastidiosa ne convivono altre che, invece, sono sane




Pietro Perrino: nelle stesse aree delle piante infette di Xylella Fastidiosa ne convivono altre che, invece, sono sane
Pietro Perrino, già docente Ateneo Bari e direttore Istituto Germoplasma Cnr
«Gli alberi sono vulnerabili ai batteri perché abbiamo alterato la biodiversità»

Si utilizzano agrotecniche sbagliate: concimi chimici e erbicidi per raddoppiare le produzioni agricole. Sradicare gli ulivi sarebbe una follia. Chi suggerisce questo sta sbagliando in pieno

«La biodiversità è sinonimo di resistenza alle malattie, mentre l'omogeneità è sinonimo di vulnerabilità alle malattie». Il professor Pietro Penino genetista agronomo, già docente degli Atenei di Bari, Foggia, Potenza e Matera e direttore dell'Istituto Germoplasma del Cnr di Bari, parte da questa regola per spiegare la diffusione della Xylella fastidiosa.
Professore, cosa ha scatenato il batterio?
«Innanzitutto. partiamo da una considerazione: l'ulivo vive e si riproduce se ha legami con il suolo, con la terra. Poi, però, aggiungiamo anche il clima e, quindi, consideriamolo elemento di un ecosistema. A questo punto chiediamoci perché la Xylella si è diffusa solo nel Salento e non in altre aree. Evidentemente non è solo questione di piante, ma c'entra, appunto, l'ecosistema. Questo significa che attacca uliveti che sono coltivati con un aerotecnica sbagliata, usata solo per aumentare la produzione».
Cioè?
«C'è un errore commesso negli anni passati, anche decenni, che ha reso più vulnerabili alla batteriosi gli ulivi».
A cosa si riferisce in particolare?
«Al fatto che siano stati utilizzati erbicidi fitofarmaci, concimi, a cui si aggiunge anche un uso sfrenato del trattore che ha reso più fragile il terreno, per ottenere la massima produzione. Questo ha reso le piante più vulnerabili ai batteri, non solo quello della Xylella fastidiosa».
Quindi. lei dà la colpa della vulnerabilità degli ulivi ai metodi di produzione industrializzati . '
«Certamente. Del resto, se si facessero indagini e si andassero a controllare gli uliveti che sono stati attaccati, si capirebbe benissimo che nelle stesse aree delle piante infette ne convivono altre che, invece, sono sane. Evidentemente in quelle aree dove gli ulivi sono sani i proprietari non hanno utilizzato pesticidi, concimi, fitofarmaci. Anche la troppa acqua fa male».
Cosa accade quando per anni si utilizzano queste sostanze?
«Questo tipo dì agricoltura industriale, che porta le piante -non solo quelle degli ulivi - a ottenere la massima produzione. porta alla sterilità del suolo. a una sua infertilità. In pratica il suolo si destruttura e la pianta non riceve più il nutrimento necessario. perché come ho detto prima l'ulivo deve essere considerato nell'ecosistema. In questo modo rendo l’albero vulnerabile alle  malattie».
Professore, la direttiva della Commissione Europea impone l'eradicazione. Lei cosa pensa in merito?
«Espiantare un ulivo è una follia. perché l'ulivo è molto resistente e riesce, poi a immunizzarsi. Mi piace parlare di tolleranza al batterio, nel senso che la pianta nel momento in cui viene attaccata si difende e riesce a sviluppare gli anticorpi. Però, perché questo avvenga deve vivere in un ambiente sano. Che significa non utilizzare più agrotecnica industriale, recuperando invece le pratiche agricole di un tempo e migliorando la sua fertilità con concimi naturali..
Quindi è sbagliato sradicare gli ulivi.
«Come le ho detto. è una follia. Chi suggerisce questa pratica non capisce nulla di tecniche agricole. Dobbiamo imparare la lezione che ridurre la biodiversità negli uliveti significa rendere le piante più vulnerabili. Più c'è omogeneità, più si alza il rischio di malattie. Mentre la biodiversità è sinonimo di resistenza. Prova ne sia che gli alberi non trattati, ne ho visti tanti nel leccese. sosti sani . M.C.M.
Fonte: Nuovo Quotidiano di Puglia del 23 agosto 2014

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