sabato 26 luglio 2014

Diagnosi dei batteri patogeni delle piante




Diagnosi dei batteri patogeni delle piante
L’approccio necessario per la individuazione di ogni fitopatia è la determinazione ed identificazione dell’organismo responsabile. Una semplice diagnosi di un batterio patogeno già noto potrebbe richiedere solamente il riconoscimento dei sintomi e un test rapido per confermarne l’ identità, ma la diagnosi di patogeni ancora sconosciuti richiede una più attenta osservazione in campo, un esame dei tessuti della pianta, l’isolamento del batterio patogeno, la sua caratterizzazione e infine la dimostrazione dei postulati di Koch (Stead et al., 1997).
Molti metodi fenotipici come il profilo degli acidi grassi, proteico e nutrizionale consentono la determinazione e l’identificazione di molte specie di batteri. Questi metodi tradizionali però sebbene forniscano molte informazioni fenotipiche non sono in grado di determinare lo stato di pathovar della specie (Stead, 1991). Le procedure "standard" di identificazione dei batteri, o metodi classici, richiedono l'isolamento di colture pure seguito da test che analizzano alcune caratteristiche fenotipiche, quali i caratteri biochimici e morfologici.
Se alcune di queste metodologie si sono rivelate efficaci per l’identificazione di alcuni batteri, resta il fatto che questi saggi servono, di solito, per identificare un numero relativamente ristretto di microrganismi e in genere non possiedono tutti quei requisiti che un buon protocollo per la identificazione e/o la tipizzazione di un isolato batterico dovrebbe avere: specificità, sensibilità, riproducibilità, rapidità, semplicità e basso costo.
Oggi invece sono disponibili numerosi metodi di fingerprinting genetico basati sulla PCR che hanno un buon potenziale nel classificare ed identificare i batteri fino al livello di pathovar che hanno affiancato ed in parte soppiantato le tecniche "classiche".
In particolare le tecniche basate sulla PCR (AFLP, AP-PCR, DAF, RAPD, rep-PCR, eric-PCR, tDNA-PCR, ARDRA, ITS, sequenziamento del 16S rDNA) si sono rivelate un mezzo estremamente veloce ed efficace per l' identificazione, la tipizzazione ed il monitoraggio dei batteri. Le varie tecniche , che differiscono oltre che per l'approccio operativo, anche per la loro specificità, generano un fingerprinting molecolare che assume le sembianze di un codice a barre, il numero delle quali dipende dal tipo di tecnica utilizzata. L' identificazione di un isolato batterico ignoto avviene mediante confronto con il codice a barre ottenuto con uno o più ceppi tipo (Morinet, 1992).
Metodi tradizionali
Per identificare un batterio è necessario anzitutto ottenere la sua coltura pura.
L’isolamento dei batteri viene fatto strisciando una sospensione batterica su substrati nutritivi solidi che possono essere di quattro tipi: semplici, di composizione idonea alla crescita indiscriminata di batteri; differenziali, contenenti sostanze che danno reazioni differenti quando certi batteri crescono in loro presenza; selettivi, di composizione tale da inibire la crescita di batteri indesiderati; di arricchimento, particolarmente favorevoli alla moltiplicazione dei batteri.
Una volta ottenuta la coltura pura, vengono utilizzati test per studiare i caratteri biochimici. Il batterio sconosciuto viene esaminato ed i suoi caratteri sono comparati con quelli di batteri noti (ad esempio ceppi tipo). La scelta dei caratteri deve però essere ponderata pertanto è consigliabile che il nu mero delle osservazioni e dei saggi sia mantenuto al minimo indispensabile (Cowan e Liston, 1974).
Le prime tappe per l’identificazione dei batteri fitopatogeni sono l’osservazione microscopica in contrasto di fase, la colorazione di Gram, la determinazione del numero e della disposizione dei flagelli, del tipo di metabolismo del glucosio, se respiratorio o fermentativo, (Hugh e Leifson, 1953) ed il saggio dell’ossidasi (Kovacs, 1956). Nel corso di questi saggi è possibile verificare inoltre se le colture del batterio producono pigmenti o posseggono qualche altro spiccato carattere macroscopico (ad esempio colonie levaniformi o pectolitiche).
Per presunti batteri fitopatogeni è anche importante effettuare il test di patogenicità: il batterio deve essere in grado di riprodurre, una volta inoculato artificialmente su piante sane, i sintomi tipici della malattia presente in natura. Se la prova dà esito positivo per poter affermare che il batterio è causa della malattia deve essere reisolato dai sintomi artificiali, devono cioè essere soddisfatti i postulati di Koch. A questo punto si può avere già un’idea del genere o addirittura della specie cui attribuire il ceppo esaminato (Mazzucchi, 1981). Questi metodi però non sono affatto rapidi.
La ditta Biolog Inc. di Hayward (CA-USA) ha velocizzato i saggi metabolici per l’identificazione dei microrganismi, mettendo a punto un sistema basato su piastre contenenti fino a 95 differenti substrati organici. Questi sono contenuti in forma liofilizzata in altrettanti pozzetti. Aggiungendo in ogni pozzetto la medesima quantità di sospensione batterica, a densità nota, il substrato si reidrata ed il pozzetto, in presenza di attività metabolica del batterio, si colora di viola con un’intensità teoricamente proporzionale all’utilizzo del substrato stesso. La lettura della piastra colorata viene eseguita tramite uno spettrofotometro per piastre a 96 pozzetti in grado di leggere alla lunghezza d’onda di circa 590 nm (specifica per il tipo di colorazione del sale di tetrazolio utilizzato). Ad ogni ceppo batterico saggiato corrisponde un profilo metabolico (o profilo di utilizzo dei substrati). La somiglianza o l’equivalenza del profilo ottenuto, con i profili registrati in un database della Biolog Inc., permette di risalire al genere, alla specie del batterio o, nella migliore delle ipotesi, alla pathovar.
Anche l’analisi gas-cromatografica degli acidi grassi rappresenta un metodo di diagnosi per i batteri fitopatogeni. In tali organismi infatti, la maggior parte degli acidi grassi cellulari presentano catene lunghe da 9 a 20 atomi di carbonio (Miller, 1982; Moss et al., 1980); di questi, alcuni sono presenti anche nelle cellule di piante e animali, mentre altri (β-idrossi, ciclopropano e catene ramificate) sono presenti esclusivamente nei batteri (Lechevalier, 1982). La diversità nella struttura e la conformazione caratteristica, rendono tali composti adatti per l’identificazione dei batteri, identificazione basata sulla composizione specifica di acidi grassi totali.
Gli acidi grassi vengono estratti da i campioni in cultura e vengono separati mediante gas-cromatografia. Il profilo unico degli acidi grassi estratti viene analizzato mediante opportuni software informatici e viene comparato con un database microbico interno. Oltre il profilo degli acidi grassi, molti programmi forniscono anche una lista con i risultati degli accoppiamenti con i dati del database e un valore di probabilità statistica che indica il livello di confidenza del risultato.
Metodi basati sulla PCR
I metodi di identificazione dei ceppi basati sulla PCR possono essere riassunti in tre strategie:
a) analisi di fingerprinting del cromosoma utilizzando tecniche di amplificazione mediante PCR;
b) frammentazione con endonucleasi di restrizione del cromosoma batterico;
c) amplificazione enzimatica di singoli geni e successiva analisi di sequenza dei prodotti PCR.
Molti progressi nella tipizzazione dei batteri sono stati raggiunti utilizzando tecniche di fingerprinting che impiegano la PCR per amplificare segmenti multipli di DNA batterico. Ad es. l’analisi degli elementi ripetitivi semplicemente chiamata REP-PCR si basa su parecchie famiglie di elementi ripetuti del DNA distribuiti nel cromosoma batterico. Questi possono servire come siti di legame per primer per una amplificazione del DNA (Versalovic et al., 1991;1994; de Bruijn, 1992).
Parecchie famiglie di sequenze ripetitive sono intersperse attraverso il genoma di diverse specie batteriche. Tre famiglie di sequenze ripetute sono state studiate più in dettaglio, incluse le sequenze REP (repetitive extragenic palindromic), le sequenze ERIC (enterobacterial repetitive intergenic consensus), e gli elementi BOX (Versalovic et al., 1994). L’utilizzo di questi primer in PCR consente l’amplificazione selettiva di distinte regioni genomiche localizzate tra le sequenze REP, ERIC o BOX. In modo simile all’analisi VNTR negli eucarioti, gli oligonucleotidi utilizzati nella REP-PCR determinano la misura dei polimorfismi amplificando le regioni di DNA comprese tra i motivi ripetuti. In questo modo il pattern dei frammenti amplificati è in funzione della localizzazione fisica degli elementi ripetuti nel genoma.
Un altro approccio che si basa sulla frammentazione con endonucleasi di restrizione è l’analisi RFLP-PCR che prevede l’amplificazione di una porzione del DNA ottenuto utilizzando uno o più enzimi di restrizione.
L’analisi AFLP è un altro metodo di fingerprinting basato sulla PCR che si utilizza per discriminare batteri anche strettamente correlati. Il DNA batterico viene prima digerito con enzimi di restrizione producendo una serie di frammenti di DNA di varia lunghezza. Poi specifici adattatori a doppio filamento vengono legati alla fine di questi frammenti. Primer di sequenza complementare a quella degli adattatori e con vari oligonucleotidi selettivi al 3’ sono infine utilizzati per amplificare questi frammenti.
Infine l’amplificazione del gene 16S rRNA e la successiva analisi di sequenza è un altro metodo molto utilizzato per l’identificazione dei batteri. Il DNA genomico è estratto direttamente dalle colonie batteri che e il gene del 16S rRNA è amplificato utilizzando primer universali tramite PCR.
Il gene amplificato è poi sequenziato utilizzando un sequenziatore automatico e la sequenza analizzata con metodi bioinformatici per ricercare polimorfismi con le sequenze del 16S note di altre specie.

DOTTORATO DI RICERCA IN PROTEZIONE DELLE PIANTE - XVIII CICLO - Analisi genetica e molecolare dei batteri implicati nella “moria”del nocciolo AGR/12, Dottoranda DOTT.SSA CRISTINA PROIETTI ZOLLA, Coordinatore CHIAR.MO PROF. NALDO ANSELMI, Tutore CHIAR.MO PROF. LEONARDO VARVARO, Co-tutore CHIAR.MO PROF.ROSARIO MULEO

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