martedì 10 luglio 2012

Intervista a...Andrea Segrè

Intervista a...Andrea Segrè (1)

Nel suo ultimo lavoro “Economia a colori” mette in luce come la nostra sia una società degli sprechi, destinata all’implosione se non trova una nuova prospettiva di sviluppo, che lei vede nel binomio ecologia-economia. Ci può spiegare come si può concretizzare questa sua visione dell’economia e della società? Quale percorso secondo lei potrebbe essere intrapreso per cambiare la situazione?

La proposta che faccio è in realtà di invertire i termini, perché ecologia ed economia stanno insieme, hanno la stessa radice, eco-casa: l’economia è la buona gestione della nostra casa, dove abitiamo, e l’ecologia dovrebbe essere la buona gestione della nostra “grande casa”, cioè il pianeta. Anche quegli economisti che considerano economia ed ecologia come un unico insieme, i cosiddetti
economisti ecologici, in realtà non tengono conto che abbiamo sbagliato le proporzioni. Si devono invertire i termini: il punto di vista di noi agro-economisti, che veniamo dall’agricoltura o dall’economia dell’agricoltura, è quello di chi guarda le piante crescere, e ci appare dunque scontato il fatto che la grande casa debba contenere la piccola casa. Non può essere l’economia che contiene l’ecologia anche perché, e lo sappiamo già da tanto tempo, le risorse naturali che ci servono per produrre gli alimenti (la terra, l’acqua, l’energia, etc.) sono limitate, sono scarse, non sono infinite come qualcuno ha pensato, e dobbiamo dare loro il tempo di rigenerarsi attraverso dei cicli e, quindi, se questo è vero, anche i consumi materiali devono essere altrettanto limitati (è proprio una legge fisica, il secondo principio della termodinamica).
Tutto questo vuol dire che noi dobbiamo considerare l’economia dentro l’ecologia e non viceversa, dovremmo avere l’idea, appunto, di una società che ci porta verso l’ecologia economica, dove l’economia è uno strumento, un aggettivo, una parte; solo allora saremo in grado di capire bene quali sono i limiti ecologici del nostro pianeta e non andremo oltre i limiti che abbiamo già superato.
L’attuale crescita, in realtà non ci sta facendo uscire dalla crisi, ma questa potrebbe essere proprio un’opportunità per cambiare qualche cosa, e noi che studiamo, l’agricoltura ne siamo ben consci. Torniamo all’economia reale, all’economia primaria, quella vera, e facciamo capire anche che ha un ruolo primario importante, e l’esempio più straordinario è proprio l’agricoltura sociale.

Da anni lei si occupa del tema degli sprechi sia dal punto di vista scientifico sia da quello dell’impegno sociale, con iniziative importanti come il “Last Minute market”. Come è nata quest’idea? Quali risultati ha dato finora?

L’idea è un po’ la scoperta dell’acqua calda. Il sistema legato al mercato, alla crescita, porta a degli sprechi a delle eccedenze, tutti ricordano ad esempio qualche anno fa il caso delle eccedenze comunitarie: agrumi e pomodori che venivano distrutti, per altro con gli stessi attrezzi utilizzati per produrli. Col passare del tempo mi sono accorto, operando sul campo, che lo spreco non è un fallimento del mercato, cioè produci più di ciò che vendi e allora distruggi, ma che proprio il sistema è costruito sullo spreco: la continua produzione di beni presuppone una loro veloce sostituzione, così rapida che non si fa in tempo neanche a consumarli perché si deve, appunto, far andare avanti il sistema. Produrre, produrre, produrre, dunque, acquistare, acquistare, acquistare e di conseguenza consumare, consumare, consumare, in maniera talmente veloce che è in questa
sostituzione che si genera lo spreco: cioè si getta via qualcosa che può ancora essere utilizzato. Alla fine degli anni ‘90 abbiamo avviato un progetto concreto che è diventato uno spin off, cioè una vera e propria società dell’Università di Bologna, i cui soci sono miei ex studenti che nel frattempo si sono laureati ed altri ricercatori, questa società coniuga, per così dire, l’aspetto imprenditoriale a quello legato alla solidarietà: hai una eccedenza, perché non la fai consumare a chi ha una carenza? Creando un’economia del dono e quindi un’economia solidale che dà a chi ne ha bisogno, però con un obiettivo a monte, che è l’aspetto legato alla sostenibilità: gli sprechi devono essere ridotti
perché non possono essere giustificati neanche col fatto di essere indirizzati a persone indigenti, perché questo sta succedendo. Lo spreco è in realtà un errore, è una perdita, è un surplus, è una eccedenza che genera dei costi ambientali ed economici perché questi rifiuti si devono smaltire, tutto questo inquina e costa. Allora il recupero va bene fin quanto ce n’è e ce ne sarà ancora molto, ma l’obiettivo deve essere ridurre la produzione, rendere il sistema più efficiente, più eco-efficiente. Tra le tante iniziative, abbiamo lanciato una campagna europea contro lo spreco, per raggiungere
l’obiettivo che noi abbiamo chiamato “spreco zero”, quando lo avremo raggiunto a quel punto ci inventeremo qualcos’altro da fare, le idee non mancano.

Una delle iniziative di cui lei è promotore è “Un anno contro lo spreco”, che ogni anno declina il tema generale dello spreco dando un’attenzione particolare ai diversi consumi: il cibo (2010), l’acqua (2011) e l’energia (2012). Quali risultati hanno dato le campagne sul cibo e sull’acqua degli anni precedenti? Quali risultati si aspetta per la campagna in corso?

“Un anno contro lo spreco” è una campagna europea, adottata dal Parlamento Europeo che ha votato, a gennaio di quest’anno, una risoluzione sulla base di un documento che avevamo presentato nel 2010, sullo spreco di cibo. Ci chiedevamo cosa fare per ridurre a zero gli sprechi e allora decidemmo di mettere in campo una serie di azioni, ma a che livello? Limitarlo a quello nazionale sarebbe stato a dir poco riduttivo, essendo il sistema globale che ci porta allo spreco: allora abbiamo trovato udienza, non a caso, alla Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo che è presieduta da un italiano, Paolo De Castro. Per nostra fortuna ha intuito subito la portata di questa proposta, perché riguarda molto l’agricoltura: perché lo spreco nei campi c’è ancora ed è una inefficienza che, in qualche modo, anche gli agricoltori pagano. Quindi il primo anno abbiamo declinato “Spreco Cibo” ed abbiamo pubblicato il libro nero dello spreco di cibo in Italia: 16-18 milioni di tonnellate che si perdono per la filiera agroalimentare, dal campo al nostro frigorifero e una buona parte sta lì, nei campi. Abbiamo fatto un calcolo, anche dal punto di vista economico, stiamo parlando di qualcosa con un valore compreso tra gli 11 e 12 miliardi di euro, è
lo 0,7% del PIL (dati riferiti al 2010). Abbiamo trasformato queste tonnellate in nutrienti ed abbiamo capito che si potrebbe dare da mangiare per un anno, colazione, pranzo e cena, ad una popolazione come quella della Spagna di 44 milioni di persone. Il 2011 l’abbiamo dedicato all’acqua. Gettando via il cibo si getta via anche l’acqua che abbiamo utilizzato per produrre gli alimenti, ma non soltanto l’acqua di quel momento, del cibo, di quella fettina di carne piuttosto che di quella mela ma tutta l’acqua che si usa per produrre, trasformare, distribuire e, anche, smaltire se non si consuma. E’ emerso un dato piuttosto impressionante: è pari al 10% del Mare Adriatico, cioè 13 milioni di m3 , l’ acqua che, sostanzialmente, si getta via. È una risorsa rinnovabile, ma teniamone conto perché questo poi vuol dire che ogni alimento ha un suo costo in termini di acqua e la nostra dieta, in qualche modo, ha un effetto anche sull’acqua e sull’ambiente in generale.
Quest’anno la campagna è legata all’energia (i dati non sono ancora disponibili, li stiamo raccogliendo e li presenteremo ad ottobre come ogni anno), perché gettare via il cibo significa sprecare il cibo stesso che potrebbe essere mangiato, l’acqua come abbiamo detto, ma anche l’energia che abbiamo utilizzato per produrre quel cibo. I primi dati che ho a disposizione, e che non posso anticipare perché li dobbiamo verificare, sono molto significativi. Nel 2013 faremo “Un anno a spreco zero”, parleremo di tutti gli sprechi assieme: l’obiettivo sarà quello di fare il punto della situazione dei risultati ottenuti in termini di riduzione degli sprechi. Inoltre, il 2014 sarà, come richiesto nella risoluzione del Parlamento Europeo, l’anno di lotta europea contro lo spreco: allora io spero che lì, tutti i 27 i Paesi metteranno in moto dei meccanismi per ridurre, come è scritto nella risoluzione, del 50% gli sprechi alimentari entro il 2025.
(1) Economista, Preside della facoltà di Agraria di Bologna

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