venerdì 6 luglio 2012

D’Amato, l’“oro giallo” che non teme confronti

D’Amato, l’“oro giallo” che non teme confronti


Un’azienda secolare che ha conquistato il mercato con olii ed olive in salamoia di ottimo gusto e qualità. D'AMATO AGROALIMENTARE s.r.l. - Via Carmiano 73010 Veglie (LE) Italy - P.I. 03143340754 - Tel 0039 0832 970646 - Fax 0039 0832 971105

Olive verdi, rosate, nere in salamoia, olio extravergine d’oliva: prodotti che nascono dalla terra salentina ed arrivano al consumatore secondo un percorso incentrato sulla qualità. Oltre un secolo di passione alle spalle, strategia produttiva, voglia di fare, ed entusiasmo sono la chiave di successo dell’azienda “D’Amato Agroalimentare”, 120 ettari nel feudo di Veglie, 15mila piante d’olivo, un frantoio di 4mila metri coperti per la molitura, capannoni per il confezionamento dei prodotti, un ufficio commerciale che sforna ogni giorno nuove idee per dare appeal e rendere competitivo il marchio di famiglia.

“L’azienda l’ha fondata il nonno di mio nonno, ed ogni generazione ha cercato di farla crescere”, spiega Italo D’Amato, 24 anni, (oggi 31 anni n.d.r.) un diploma di perito agrario e già tanta esperienza maturata sul campo. “Abbiamo diviso i ruoli - ribadisce il giovane imprenditore - papà Carmine si occupa della produzione, io della trasformazione e della vendita e mia sorella Dolores degli aspetti amministrativi. Una sinergia che per ora sta dando i suoi frutti”.

Come nasce l’idea della trasformazione dell’olio?

“Nasce nel 1997. Volevamo difendere la nostra produzione, eravamo stufi di conferirla indistintamente alle cooperative che poi non valorizzavano il nostro olio. E’ nata così l’idea del marchio di famiglia. Un’idea di mio padre che ha subito fatto degli investimenti nel segno della qualità.

Dodici anni fa lui è stato tra i primi in zona ad acquistare dei cantieri di raccolta particolari: ora raccogliamo tutte le olive con scuotitori e carri intercettatori.

Il prodotto è integro, non tocca terra, viene raccolto direttamente dalla pianta e molito nel nostro frantoio entro le 24 ore: in questo modo siamo riusciti a portare sino al 90 per cento del totale la produzione di extravergine.


Qual è il mercato di riferimento?

“Soprattutto il mercato locale. Imbottigliamo attualmente circa 500 quintali di extravergine ed altri 500 quintali sono confezionati in latte da 5 litri che è il nostro prodotto più competitivo. Abbiamo uno spaccio aziendale per la vendita al dettaglio, punti vendita d’estate nelle marine, Gallipoli, Torre Lapillo, Porto Cesareo, e poi vendiamo ai ristoratori, ai pub, alle pizzerie. Da un paio d’anni vendiamo inoltre il nostro olio tramite il nostro sito Internet (http://www.damatoagroalimentare.it/homenew.asp): con il corriere riusciamo a consegnare entro 48 ore in tutta Italia. Una formula che sta dando riscontri soddisfacenti e che incentiviamo inviando ad una campionatura di clienti o di albergatori, due, tre volte l’anno, confezioni omaggio dei nostro prodotti. Tramite l’e-commerce siamo riusciti infatti a bypassare la grande distribuzione che non aiuta certo le produzioni locali: sugli scaffali infatti gli olii industriali convivono con i prodotti certificati, made in Italy, artigianali, sicuramente di maggiore qualità, ma ovviamente più cari. Ed il consumatore, se non adeguatamente informato e sensibilizzato, finisce per acquistare in base alla convenienza del prezzo”.

Come nasce invece l’idea di produrre olive in salamoia?

“Avevamo poche piante per le olive da tavola, all’inizio. Il leccino è stato messo a dimora solo 20 anni fa. Ma era un prodotto che ci incuriosiva. Con mio padre, attraverso alcune università, siamo andati in Grecia ed in Spagna a visitare realtà innovative per le olive in salamoia. Abbiamo così impostato tutta la produzione a livello industriale: offriamo un prodotto calibrato, all’interno del vasetto o del fusto le olive sono tutte della stessa pezzatura. Facciamo le olive nere, di varietà cellina, inimitabile e che non teme concorrenza, con piante qui nel Salento anche di 800 anni, per le olive verdi abbiamo la varietà picholine, infine le rosate, ossia olive raccolte a mezzo grado di maturazione, che sono di varietà leccino. La lavorazione è al naturale, certificata: gli ingredienti sono solo acqua e sale, senza conservanti, né coloranti né acidificanti”.

A chi le vendete?

“Le nere hanno prettamente il mercato della panificazione: panifici e forni di tutto il Salento per le pucce. L’oliva leccino-rosata è la più piccola ed a volte non viene apprezzata proprio perché la gente è abituata a mangiare con gli occhi, a preferire cioè le olive grandi, verdi, e non apprezza a sufficienza questa varietà che invece ha un gusto inconfondibile. Infine le picholine, molto usate per gli aperitivi o per la ristorazione, che vendiamo a pub, pizzerie, ristoranti, catene distributive”.

Quali benefici ha apportato all’azienda passare dalla semplice produzione alla trasformazione?

“Un aumento della redditività di oltre il 70 per cento. Senza dubbio dare il proprio nome, impegnarsi a creare un marchio proprio apre prospettive e sbocchi di mercato di grande vantaggio economico. La sfida è ora rendere sempre più variegata la gamma di prodotti: da alcuni anni ad esempio, abbiamo cominciato a produrre il patè di olive e pensiamo di aumentare il ventaglio di offerte per accrescere la nostra immagine sul mercato. Promozione che spetta per altro a me visto che sono io ad occuparmi delle fiere e della commercializzazione”.

A 24 anni sei ormai coinvolto a tempo pieno nell’azienda di famiglia. Nessun rimpianto?

“Sin da piccolo mi è sempre piaciuto sporcarmi le mani di terra (sorride). Amo questo lavoro, credo che possa dare buone prospettive per un giovane che abbia voglia di fare. Spero di poter dare il mio contributo a questa realtà che ho ereditato dai miei avi. L’errore che abbiamo commesso come agricoltura salentina è stato quello di pensare per decenni solo a produrre, mentre gli altri, in Toscana ad esempio, pensavano già 70, 80 anni fa a commercializzare. Cominciare adesso è molto più difficile. Ma è una sfida che vale la pena affrontare”.

di Daniela Pastore - Terra Salentina di Ottobre 2005 pag. 4

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