venerdì 8 giugno 2012

Il germoplasma olivicolo in provincia di Lecce

4. Il germoplasma olivicolo in provincia di Lecce


4.1 Cenni storici

Prove certe della coltivazione dell'olivo nell'ambiente del Salento si ritrovano, oltre che negli scavi archeologici, nei componimenti di numerosi autori classici stretti conoscitori di questa terra (Ovidio, Erodoto, Plinio, Columella ed Orazio). Le loro opere, oltre a trattare aspetti di tecnica colturale e di agronomia, riferiscono della presenza di numerose varietà di olivo segnalate con nomi diversi: radius, pausia, orchites, sergia, calabrica, phaulia, liciana, sallentina, ecc.. In particolare, riferimenti a varietà coltivate, sono riscontrabili nei componimenti di Catone (234-149 a. C.) e di Columella (primo secolo d.C.). Il primo, oltre ad essere uomo politico e studioso romano è stato anche un profondo conoscitore del territorio salentino. Egli, tra l'altro, cita la presenza dell'olivo e della "Olea sallentina"; Columella, invece, menziona la varietà "Olea calabrica" nel trattato di agricoltura "De Re Rustica". Con ogni probabilità, tali due tipologie sono, in realtà, riconducibili alla varietà "Ogliarola". Tale convincimento trova fondamento nella considerazione che, nell'antichità, questa terra fu identificata con varie denominazioni, tra le quali anche Salento e Calabria e, come sostenuto da attenti studiosi, solo la varietà di olivo maggiormente diffusa in coltivazione, avrebbe potuto meritarsi lo stesso appellativo del territorio. Informazioni relativamente più recenti (‘700) sul patrimonio olivicolo salentino, sulla consistenza e relativa composizione varietale, sono desumibili dalle opere di due studiosi locali attenti testimoni della loro epoca: Giovanni Presta (Gallipoli, 1720-1797) e Cosimo Moschettini (Martano, 1747-1820). Dai loro scritti è possibile assumere interessanti informazioni in materia di coltivazione dell'olivo e di conoscenze agronomiche e botaniche. Il Presta nel suo trattato "Degli olivi, delle ulive e della maniera di cavar l'olio" - (1792) (Foto n. 12) si occupò, in modo puntuale, delle varietà presenti in coltivazione e, a tal proposito, ebbe modo di precisare che "ogni oleario Paese ha delle molte maniere di ulive tutte sue proprie, e soprattutto questa Penisola Salentina".

Sempre il Presta, partendo da una ricerca storica sulle tipologie di olive conosciute nell'antichità e citate da autori greci e latini, curò la descrizione dei vari tipi di olivi esistenti nel Salento, basandosi, essenzialmente, sulla descrizione del portamento della pianta, dei caratteri morfologici e delle dimensioni della drupa e del nocciolo. La caratterizzazione venne completata da prove di trasformazione, quindi di estrazione e relativa valutazione dei campioni di olio ottenuti. Le sue osservazioni portarono all'individuazione e alla descrizione di oltre 30 tipi diversi di olive ("da olio" e "da mensa") (Appendice - Tav. A), nella convinzione però, che il numero reale fosse ben superiore a quello delle varietà descritte. Tanto perché la metodologia adottata dal Presta, seppur meticolosa nelle osservazioni ma basata solo su caratteri di tipo morfologico, portò lo studioso ad identificare come varietà numerosi fenotipi e a distinguere, sempre come varietà, tipi di olivi analoghi e conosciuti con sinonimi differenti nelle diverse contrade salentine. Le osservazioni sul patrimonio del germoplasma olivicolo condotte dal Presta risultano talmente dettagliate da includere, in taluni casi, anche le descrizioni di singoli esemplari di olivi spontanei che presentavano particolarità meritevoli della sua attenzione. E' il caso della "Uliva Tonda di Galatone" (pianta spontanea simile all'oleastro) o della "Palmierina" (pianta individuata nella omonima azienda agricola), o dell' "Uliva Ciriegiuola" o Ciriegia" (pianta con le drupe di colore rosso ciliegia all'invaiatura). Questa attività di sistematica descrizione varietale, seppur condotta con impegno e dedizione dal Presta, non può che essere considerata di limitato interesse scientifico ai fini della identificazione del germoplasma autoctono del Salento; difatti, più che una distinzione varietale, può essere considerata come un'attenta ricognizione del patrimonio fenotipico esistente, in quel periodo, nel territorio salentino. Il Moschettini al pari del Presta, nella sua opera "Coltivazione degli ulivi e della manifattura dell'olio" (1794) (Foto n.13) offrì una puntuale descrizione del patrimonio varietale olivicolo.

I suoi studi presero lo spunto dall'elencazione delle varietà riportate nelle opere degli studiosi antichi, con un approccio di tipo "storico-letterario" e quindi, senza limitarsi al solo aspetto fenotipico delle piante. Moschettini riuscì così a descrivere 12 varietà di olive tra piante a drupa grossa e piante a drupa piccola (Appendice - Tav. B). Con tale scelta, lo studioso recuperò altre tipologie di olivi, già conosciute nell'antichità ed ancora presenti nelle contrade salentine. Tra l'altro, sia il Presta che il Moschettini curarono, con particolare attenzione, la descrizione delle piante e trattarono due tra le varietà locali (Ogliarola e Cellina) più importanti per presenza sul territorio e per caratteristiche della produzione. All'epoca, l'Ogliarola aveva una diffusione prevalente in ogni contrada del territorio salentino. Il Moschettini ne parla come de "... la maniera di ulivo la più antica, la più generalmente coltivata, propria del nostro paese, la dominante..." ed il Presta la illustra come "... la più comunale, tutta propria di queste contrade, la più comune ...", ed ancora afferma che "...tutto l'oliveto della Penisola si può dir di ogliarole". La varietà Cellina in tale periodo, faceva segnare una presenza alquanto contenuta. A tale proposito, i due autori convengono affermando che, oltre all'Ogliarola, negli oliveti salentini si incontrano impianti di varietà Cellina, la cui diffusione tende a crescere per la maggiore resistenza ai danni provocati dalla "brusca", alla quale, viceversa, l'Ogliarola si è mostrata particolarmente sensibile, essendo considerata dagli agricoltori pianta più "gentile" della Cellina.

Nella sua trattazione il Presta così descrive la "Ogliarola": ("Uliva Ogliarola comune")(Foto n. 14) "L'albero che la produce è dileguo il più dolce; è di rami originariamente non dritti, ma che a distanza di due, o di tre palmi più, o meno fanno angolo, e camminano a zigzag (...) e che aman di essere molto spesso rinovellati col taglio, e si riproducono facilmente. E' di fronde lanceolata, ma più sottile e di colore più dilavato, che le frondi di Ulivo Cellino. Il più di tutti, se pure non è egli solo, che va soggetto alla brusca. L'uliva poi maturandosi, (...) suole sul primo annerire divenir meza, talchè le donne raccoglitrici le furan via, empiendosene buona la tasca. E' lunga linee 9, larga linee 6, poco aguzza, né sempre, e tal fiata pure un po' falcatuccia. Pesa fra i 35 e i 40 acini, ed il suo nocciolo presso a 7, nocciolo liscio, né molto duro a confronto col nocciolo di Cellina".

Oltre alla "Ogliarola comune", il Presta descrive altre due varietà riconducibili al medesimo "ceppo”. La prima: "Uliva Ogliarola giuggiolara", ...così detta, perciocchè viene più tondeggiante in punta, e più grossa che l'antecedente, ma del resto è pel fruttato la stessa" e la seconda: "Uliva Ogliarola termetara","...ch'è assai più piccola, e men polputa, e meno oliosa della Ogliarola, e per ordinario suol essere più noccioluta, e più aguzza". Il Moschettini descrive invece un sol tipo di Ogliarola. Individuata come "Uliva Ogliarola" : "...uliva delle piccole di figura ovale, e per lo più acuminata, nera nella sua maturità, ma poco meno della Cellina, e la più oliosa di tutte, che qui si hanno. Il suo nocciolo è quasi fragile; ed in certi siti quando è appena annerata, suol divenir mezza, e così dolce che a mangiarsi è graziosa. E' soggetta, più della Cellina, al baco e l'albero è accagionato dalla brusca".

Relativamente all'altra varietà autoctona, la Cellina, (Foto n. 17) il Presta indica il tipo più comune e diffuso come "Uliva Cellina legittima" e, accanto ad essa, ben 4 altri tipi: Uliva Cellina termetara, Uliva Inchiastra, Uliva Cellina rossa di Vitigliano e Uliva Cellina. La "Uliva Cellina legittima", secondo il Presta, " vien grossa linee 6, lunga 8, in figura ovale, di un nero vivissimo, e lustro, quandocchè sia perfettamente matura, ma prima della total maturezza ella è nera sì, ma apannata come di un vel trasparente argentino. Così argentina è amarissima, ma dissipato quel velo, è soventi fiate buona a mangiarsi anche cruda. Pesa spesso li 40 acini, e 'I suo nocciolo è presso al quarto del suo peso totale, e durissimo; di tal che sovente resta sano, ed illeso alla macina. La pianta, da cui provviene, suole elevarsi, ed essere più vasta della Ogliarola: ha de rami dritti, legno più duro, ed è men soggetta alla brusca. Si appella con vari nomi, secondo i vari Paesi; dove Cellina, dove Morella, dove Cafarella, ove Saracena, ove Scuranese, ove di Nardò, ove di Lecce, ove Cascia”.

La "Cellina" secondo la descrizione del Moschettini: "... ignota certamente o non nominata dagli antichi, è tra noi quella sorta, che dopo l'Ogliarola si è finora a tutte le altre preferita. Ha sortito vari nomi; giacche dove si appella Scuranese. dove Casciola, dove Cafarella, dove Uliva di Nardò, dove di Lecce, dove Saracena. E' anche delle piccole, di figura ovale, di un nero, quando è matura, più profondo di quello dell'Ogliarola; il suo nocciolo è assai duro; dà un olio migliore dell'Ogliarola, ma in minor copia. Non è dal baco tanto seguita, come questa, e l'albero va esente dai fieri colpi di brusca".

La situazione del patrimonio varietale olivicolo salentino non subì variazioni di rilievo nel secolo successivo, così come rilevato dalla "Inchiesta Jacini" (1.877-1.885). In essa viene documentata la presenza dominante e pressoché esclusiva nel Salento delle due varietà "Ogliarola" e "Cellina". Al proposito si legge che: "l'Ogliarola viene coltivata in prevalenza e trovasi sparsa nei Comuni del circondario di Gallipoli in Alessano, Galatone, Gallipoli. Presicce, Tricase; nel circondario di Lecce in Lequile, Leverano, Lizzanello, San Cesario e Vernole. La Cellina nel circondario di Gallipoli nei Comuni di Gagliano, Maglie, Mordano, Nardò, Nociglia, Poggiardo, Patù, Salve, Spongano, Scorrano e Taurisano; nel circondario di Lecce nei Comuni di Castrì, Melendugno, Squinzano e Trepuzzi. Come in tutti gli altri Comuni le sopraindicate varietà sono promiscue". Le due varietà nella stessa "Inchiesta" così sono descritte: "la Ogliarola o Salentina la più antica e la più oleosa che generalmente viene coltivata in tutta la Provincia..., con le frondi bislunghe, lanceolate, diritte, ed il frutto molto polputo, acuminato in punta e ci nocciolo lisci e la Saracena, volgarmente anche detta Cellina nostrale, Morella, Cafarella, Càsciola, Nardò, con foglie più corte, ovali e ricurve, ed il frutto di color nero vivissimo a piena maturazione tondeggiante in punta, col nocciolo del peso di circa un quarto della polpa e molto resistente allo schiacciamento". La composizione del patrimonio varietale rimase sostanzialmente invariata anche nel secolo successivo, con una diffusione generalizzata delle due varietà autoctone: l'Ogliarola faceva segnare una prevalenza lungo il versante ionico e la dorsale centrale della provincia mentre, la Cellina, era molto diffusa lungo la costa adriatica. All'inizio del '900, il Biasco, con il lavoro "L'olivicoltura nel basso leccese" (1907) s'impegnò a studiare le varietà maggiormente coltivate descrivendone 14, ed operando una ripartizione in due gruppi: olive "Da olio" e "Da indolciare". (Appendice - Tav. C). Tra le varietà da olio classificò come "a frane gibbose" l'Ogliarola, distinguendo questa dalla Ogliarola giugiolara e dall'Ogliarola termetara, e come "a frutte cilindriche", la Cellina differenziando questa dalla Morella e dalla Cellina termetara. Inoltre, classificò come "a frutte tondeggianti" la Ogliarola rotonda e la Termete. Tra le varietà da mensa, definite "da indolciare", classificò e descrisse la Cornolara, la Pasula allungata (a frutte falcate); la Limoncella, la Pasula gibbosa (a frutte gibbose); la Grossa minore, la Grossa maggiore, la Uggiana, l'Ogliastro (a frutte ovalari); la Dolce e la Posula tonda (a frutte tondeggianti). A proposito della varietà Ogliarola, il Biasco realizza una descrizione puntuale delle caratteristiche fenotipiche, fisiologiche ed agronomiche, riferendo che, per diffusione, oleosità e antichità di coltivazione, questa varietà occupava il primo posto. La sua descrizione trova molta rispondenza con quella operata sia dal Presta che dal Moschettini.

Relativamente alla "Cellina" Biasco riferisce che, per diffusione, si contende il primato con la "Ogliarola", essendo più rustica e caratterizzata da una maggiore costanza produttiva. Per tali motivi, lo studioso ne auspicava una maggiore diffusione in coltivazione.

La "Morella", altra tipologia citata dall'autore nel gruppo delle "Celline" e considerata dagli agricoltori del tutto simile alla Cellina, tanto da impiegare le due terminologie come sinonimi, presenterebbe invece, una individualità propria, tanto da poter essere considerata, secondo Biasco, varietà a se stante.

Ulteriori informazioni sulle varietà presenti negli oliveti leccesi si possono assumere nell'opera di Jovino: “Le varietà di olivo coltivate in Italia" (1937) (Foto n. 18). Oltre alle due varietà prevalenti (Ogliarola leccese e Cellina), Jovino descrive alcune altre varietà importanti anche se considerate di "minore valore" (“Oliva grossa o Tunneddhu" e "Cornulara", ecc.).

Per completare queste informazioni piace riportare le descrizioni delle varietà "Cellina" e "Ogliarola" così come sono state elaborate dallo studioso leccese Jovino.
Questa foto di gruppo è stata scattata negli anni 30 nella corte dell'Edificio storico dell'Istituto Tecnico Agrario "Giovanni Presta" di Lecce in Via San Pietro in Lama. All'epoca il Preside era il prof. Jovino Saverio, docenti i professori Jannuzzi Pietro, Martello Tommaso, Vaglio Guglielmo, Tartaglia Angelo, Positano Alberto Franco Luigi, Tirrito Salvatore, Biasco Flora (l'unica donna presente nella foto, insegnante di Francese), Taurino Salvatore, Asciutti Giuseppe.
CELLINA DI NARDO'

Albero vigoroso, che si adatta anche a terreni tendenti all'umido (...). ... porta rami di cima vigorosi e rami laterali tendenti al pendulo (...). Corteccia dei rami chiara, ciò (...) denota resistenza alla fumaggine, fronda serrata e scura. Foglia corta, larga romboidale, verde cupa nella pagina superiore, cenerognola all'inferiore. Le dimensioni fogliari assolute variano con le condizioni colturali e con l'età delle .foglie. Lunghezza media mm. 54,61; larghezza media mm. 15,1. L'indice fogliare (1) pari a 3,63. Ordinariamente, in febbraio, è in movimento il germoglio all'ascella delle vermene fruttifere, onde i contadini di Lecce sogliono dire che l'entrata di Cellina la si conosce a metà febbraio. Anche la mignolatura e la fioritura anticipano 5 o 10 giorni, rispetto ad Oliarola. L'infiorescenza è costituita da un grappolo composto, con fiore terminale e con grappolini alterni e opposti, provvisti anch'essi di fiore terminale e costituiti sempre da un numero dispari di fiori (...), lunghezza massima dell'infiorescenza mm. 45. Il fiore è brevemente peduncolato e risulta composto di calice gamosepalo, di corolla bianca, di 4 petali saldati alla base, uno dei quali a volte è bifido all'estremità libera. L'ovario è supero, spesso abortito, con lo stilo corto e stimma bilobato. L'androceo è costituito ordinariamente di due stami, raramente di tre con antere vistose, reniformi, ranciate. Il frutto di Cellina è ovale, alquanto incurvato, nero e lucente a maturità. Drupa: lunghezza polare massima mm. 20.3,- larghezza mm. 13.1; peso medio gr. 1.92. Nòcciolo: lunghezza polare massima mm. 14.7; larghezza mm. 6.4; peso medio gr. 0.40. La polpa è molle, il nocciolo striato, duro e alquanto ricurvo. Il contenuto in olio del frutto è molto variabile, secondo l'andamento climatico, la località, il sistema colturale ed i mezzi di estrazione. Resa media in olio pari al 12.95%. L'olio di Cellina è alquanto amarognolo e un poco fruttato, se mosto. (...) La varietà Cellina presenta dunque una maggiore produzione e una maggiore costanza produttiva di Oliarola. La Cellina è più di Oliarola resistente a tutte le avversità, a cominciare dalla fumaggine per passare alla rogna. alla carie, al cicloconio, alla brusca, alla mosca.

(1) Rapporto medio esistente fra le due dimensioni della foglia: la lunghezza misurata dall'inserzione del picchialo all'apice, e la larghezza massima.

Fonte: S. Jovino (0p.Cit.) - (1937)

OGLIAROLA DI LECCE (I)

E' pianta meno vigorosa di Cellina, ha portamento tendente all'assurgente, fronda serrata, verde, corteccia grigio oscura, per il fatto che la varietà è recettiva alla fumaggine più di Cellina, foglia lanceolata, a volte però obovata e quasi sempre più lunga di quella di Cellina, colore verde alla pagina superiore e giallo-verdastro, non argenteo, all'inferiore . Lunghezza media delle foglie mm. 66.88; larghezza media mm. 14.08. Indice fogliare (2) pari a 4.75. Infiorescenza e fiore poco diverso rispetto a Cellina. Fioritura con 4 - 5 giorni di ritardo su Cellina. Lunghezza massima dell'infiorescenza mm. 40; il grappolo ed il fiore risultano un po' più piccoli che Cellina. La varietà Oliarola fiorisce abbondantemente, ma poi va soggetta ad una forte cascola, di tal che al raccolto presenta una produzione generalmente scarsa. Il frutto di Oliarola è piccolo come quello di Cellina, ma un po' più lungo, aguzzo, e alquanto falcato (...) la simmetria del frutto nettamente bilaterale, con l'asse polare tangente o quasi alla faccia concava del frutto. Il nocciolo è più piccolo di quella di Cellina, più arcuato e finemente striato. Indice carpometrico (3) pari a 2.14. Il contenuto in olio di Oliarola è circa una volta e mezzo quello di Cellina (19.30%). Il Presta asseriva che l'olio di Oliarola è più fine, ma, in verità, si deve dire soltanto che esso è più dolce. L'olio di Oliarola è meno fluido di quello di Cellina. L'Oliarola è sempre più ricettiva ed a volte assai più ricettiva, alla mosca di Cellina. E', inoltre, poco resistente alla brusca parassitaria, alla rogna, alle nebbie, alle brine ed ai venti marini, (...) sebbene lungo il litorale leccese produca meglio che nell'interno della penisola salentina.

(1)Comunemente dicesi e scrivesi Ogliarola, perché olio, nei vari dialetti meridionali. dicesi "uegghie" o "ueglie" . Sembra invece più proprio Oliarola dal momento che essa è varietà produttrice di molto olio.

(2) Rapporto medio esistente fra le due dimensioni della foglia: la lunghezza misurata dall'inserzione del picciuolo all'apice, e la larghezza massima.

(3) Rapporto tra lunghezza polare del nocciolo e diametro equatoriale.

Fonte: S. Jovino (0p.Cit.)- (1937)

Come confermano le notizie storiche, la composizione varietale dell'olivicoltura salentina è rimasta, nei secoli, sostanzialmente invariata, pur essendo caratterizzata da un germoplasma molto ricco di biodiversità. Con il tempo l'evolversi delle tecniche di coltivazione, le mutate utilizzazioni del prodotto e, soprattutto, l'azione di fenomeni naturali (agenti climatici, patogeni ecc.) hanno inciso sul patrimonio varietale in modo "disordinato". Alcune varietà sono state progressivamente abbandonate sino anche a scomparire, sostituite da altre che meglio rispondevano agli obiettivi della coltivazione e/o erano più dotate di capacità di adattamento alle sempre più avanzate tecniche colturali. Attualmente l'oliveto è costituito prevalentemente dalle due varietà autoctone per eccellenza: l'Ogliarola Leccese e la Cellina di Nardò. Nel passato, invece, come rilevato in letteratura, la composizione dell'oliveto era ricca di cultivar sia a drupa piccola che a drupa grossa. Non è dato di conoscere con precisione l'incidenza di tali tipologie sul totale degli impianti ma è da ritenere che queste ultime varietà dovessero assumere sicuramente un ruolo marginale, visto che sovente, erano classificate come varietà "minori". Il fatto che, a distanza di circa due secoli, queste tipologie "minori" non abbiano trovato diffusione, testimonia l'elevata specificità del patrimonio varietale salentino. Alcuni genotipi. con produzione di frutti a pezzatura elevata, importanti in passato, oggi sono limitati a singoli alberi, mentre genotipi a drupa piccola, riconducibili in ogni caso ai due principali ceppi autoctoni e probabilmente frutto di selezioni naturali, pur non essendo diffusi in modo strutturato, rappresentano un importante patrimonio genetico da valutare per eventuali future utilizzazioni. Le informazioni relative alle caratteristiche (vegetative, produttive e/o di resistenza) e le notizie sulla ubicazione dei vari genotipi, così come le terminologie dialettali attribuite nelle contrade salentine, risultano, generalmente. di scarsa utilità ai fini del riconoscimento varietale. Tuttavia, non è da escludere la possibilità che nel vasto oliveto salentino siano ancora presenti tipologie di genotipi "antico", già segnalati da studiosi greci e latini. La conferma a questa possibilità sono i rinvenimenti negli impianti di esemplari come "Cornola,"Usciana” e "Butirra di Melpignano". La "Cornola", varietà segnalata dal Presta e dal Moschettini e, secondo gli stessi autori, conosciuta dai latini e descritta da Columella, risulta ancora presente all'interno delle nostre zone olivicole, anche se ormai in modo occasionale.

CORNOLA (Sin.Cornolara, Corniola, Conulara o Ulia Cornula)

Conosciuta come Radius dai Latini e denominata da Columella "Cercitis" (termine che in greco e latino significa uliva bislunga, dritta, ed acuminata). Il Presta (op.cit.) distingueva 3 varietà: la maggiore, la minore e la piccola. E caratterizzata da un portamento tipico, assurgente, ma con vegetazione tendente al pendulo. Le foglie sono strette, allungate, falcate, di colore verde intenso, inserite sui rametti molto vicine le une alle altre. Le drupe, sono nere e lucide a perfetta maturità, di forma falcata, acuminate in ambo le estremità. La maturazione è tardiva e il contenuto in olio è alquanto basso. In passato veniva utilizzata anche per la produzione di olive conciate.

Considerazioni analoghe valgono per altre due varietà: la "Usciana", termine attribuito in bibliografia e col quale, ancora oggi, viene identificata nei dialetti di alcune zone e la "Butirra di Melpignano", sicuramente autoctona e presente nel comprensorio circostante la zona dell'omonimo Comune salentino.

USCIANA (Sin. Uggiana)

Varietà segnalata e descritta dal Presta (op. cit.) e dal Moschettini (op. cit.), secondo i quali era conosciuta già dai Greci (Orchitis) e dai Latini (Olea grandis, Orchis, Orchitem). E' pianta di media vigoria, con rami tendenzialmente penduli. Le foglie sono ellittico-lanceolate, di dimensioni medio-grandi. Le drupe sono grosse (8-12g. ),ovoidali, asimmetriche, con apice generalmente arrotondato e terminante con un grosso umbone. Nelle olive immature la superficie presenta numerose ed evidenti lenticelle. L'invaiatura inizia a ottobre e procede gradualmente dall'apice verso la base. La maturazione è precoce; le drupe incitare sono di colore rosso-bruno. Le olive vengono utilizzate prevalentemente per la concia.

BUTIRRA DI MELPIGNANO

Varietà classificata come originaria della provincia di Lecce, porta il nome del Comune di Melpignano, località salentina dove viene ancora coltivata, anche se in rari individui. Sino a un decennio fa esistevano due esemplari secolari di "Butirra" nel centro abitato. L'albero presenta chioma dal portamento espanso, con una vegetazione facilmente riconoscibile per le foglie elicoidali, portate da rametti fruttiferi penduli. E' pianta classificata a duplice attitudine e presenta drupe grandi, di forma allungata, che invaiano e maturano precocemente (fine ottobre). La polpa a maturità si presenta di consistenza molle e, presumibilmente, il nome della varietà richiama tale caratteristica. Le olive si prestano al consumo diretto sin dall'invaiatura in quanto perdono rapidamente il gusto amaro, divenendo dolciastre e molto gustose.

Nessun commento:

Posta un commento