domenica 6 marzo 2011

L’olio d’oliva lampante del Salento leccese fa ancora parlare di se.

L’olio d’oliva lampante del Salento leccese fa ancora parlare di se.


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Gli echi del dibattito sulla crisi dell’olio di Oliva Lampante sollevato nel Tavolo Interprovinciale del 28 febbraio giungono anche all’inizio di questa settimana. Davide De Lentinis, Oreste Caroppo, Massimo Vaglio, Giovanni Passeri e Alessandra Isernia scrivono la loro opinione.

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Davide De Lentinis Tecnico Agricolo di Casarano davidelentinis@tiscali.it

Il : 29/05/10 alle 12:23 ha scritto a Paride De Masi dell’Italgest



buon giorno paride, sono davide de lentinis un giovane perito agrario di casarano. ti scrivo in merito alla famosa centrale a biomasse; è inutile dire che sono favorevole. la "proposta" che vorrei permettermi di farti è solo una; si parla e si sparla a proposito della ricaduta occupazionale che questa benedetta centrale puo' avere, benissimo, sappiano che sono poche unità lavorative a occuparsi del corretto funzionamento della "macchina" tuttavia credo che la ricaduta economica sulla popolazione salentina potrebbe essere interessante; io nn posso permettermi di dire a lei

come si fa l'imprenditore, lungi da me, ma siccome sono un lavoratore autonomo pure io, la notte o il giorno mi capita di pensare a come si potrebbero risolvere i problemi dell'agricoltura e nella

fattispecie dell'olivicoltura salentina;nn so se lei conosce l'attuale prezzo dell'olio di oliva e come eventualmente viene pagato ragion per cui cerchero' di esporti come la vedo io. inizia la campagna, la gente comincia a raccogliere le olive e poi le conferisce agli olifici che pur vivendo una situazione disastrosa continuano a comperarsi appartamenti a destra e manca; detto questo, esistono differenti qualità di olio, lampante, vergine, extra vergine; nella migliore delle ipotesi i frantoiani pagano il prodotto ai contadini a 6 mesi dal conferimento e non tenendo conto del prezzo

quando sono state molite le olive, ma nel perido del pagamento; situazione a mio avviso paradossale, ma è la realtà. Il prezzo varia come abbiamo detto in base alla qualità ovviamente e come è giusto che sia, tuttavia all'agricoltore conviene di più produrre lampante che olio di qualità. Ma dove va a finire tutto l'olio lampante prodotto? alle raffinerie e come per incanto diventa uno "squisito" extra vergine. Mettiti comodo paride, perchè immagina per un attimo che la nostra centrale sia alimentata a olio di oliva, immagina quante persone anzichè portarlo o lasciarlo al frantoio lo conferiscono alla centrale e le raffinerie nn raffinano un bel niente, aprendo la strada di fatto al vero olio extra vergine che verrebbe prodotto veramente dall'oliva. che cosa voglio dire? l'olio lampante verrebbe acquistato dalla centrale pagato possibilmente alla consegna e i proventi reivestiti per continuare la raccolta, le raffinerie nn avrebbero quasi più ragione di esitere

con buona pace dei produttori e di fatto ci sarebbe un largo incentivo alla vera produzione di qualità che sarebbe un grosso premio agli agricoltori veri e professionali.

Mi scuso se ti ho fatto perdere un po' del tuo preziosissimo tempo, nn lo so se quello che ho scritto sono cose irrealizzabili, ma permettimi di dire che sono pensieri miei, magari irrazionali.......

qualora sia il tuo pensiero mi piacerebbe conoscerlo, sappi che io sono con te e con tutti quelli che vogliono portare sviluppo e benessere a Casarano e nel salento tutto.

ti ringrazio e citando Dante ti dico: Non ti curar di loro, ma guarda e passa. ti lascio un mio recapito qualora vorrai sgridarmi oppure......





Oreste Caroppo Presidente de "La Rinascita del Salento", movimento aderente alla rete del Coordinamento Civico ha scritto:



La presunta valorizzazione energetica dell’olio d'oliva svalorizza tutto il comparto olivicolo salentino, impoverisce e inquina il Salento sotto mille punti di vista, dall'aria, ai suoli, alle falde per il venire meno di ogni protocollo di ...trattamento chimico per finalità alimentari, per la stessa combustione degli oli, distrugge l'immagine del prodotto, fondato sulla identità rurale salentina e sulla ricchezza organolettica del olio d’oliva come prodotto alimentare d’eccellenza richiestissimo in tutto il mercato mondiale, come forse nessun altro prodotto, rischia di danneggiare, con “un effetto risucchio”, tutta la produzione dell’olio salentino, facendo deviare, per motivi di redditività strumentalmente drogata, tutta la produzione d’olio da alimentare a lampante-biomassa oleosa, e offende tutta una terra, fiaccandone ogni intervento volto al miglioramento e alla valorizzazione dell'olio d'oliva salentino!



“E' poi l'olio un prodotto sacro della terra salentina”, che in certi periodi, di sottomissione economico-culturale della nostra terra, è stato piegato, per necessità storiche, ad “olio lampante”, ma che oggi abbiamo il dovere storico e culturale di continuare a trasformare sempre più nell’ “oro alimentare della terra pugliese”, baricentro della dieta mediterranea, definita patrimonio UNESCO dell’umanità!



Chi inneggia alle crisi di settore, e alle congiunture economiche internazionali, per favorire questa “corruzione” dell’olio lampante, lo fa per motivi strumentali, legati alla legge regionale sulla "filiera corta", che ha tagliato le gambe alle lobby politico-imprenditoriali trasversali locali che volevano realizzare speculative grosse centrali a biomasse oleose in territorio salentino, e che ora, solo con la trovata dell'uso del nostro olio d’oliva come combustibile, non potendo più importare d'altrove oli vegetali, potrebbero sperare di vedere autorizzate e costruire!



Mi auguro, e sono certo, che si riuscirà presto, dall'interno del settore agronomico territoriale, a capire fino in fondo la degradazione morale che sta agendo, sempre dall'interno, dal cuore corrotto del sistema, da cui sta irradiando, per tutto il sud della Puglia, questa setticemia, da curare al più presto, attraverso i globuli bianchi, quelle personalità competenti, intelligenti e coraggiose, che il sistema ha già al suo interno; un’infezione che sta portando a spingere per il compimento di quell'atto sacrilego, immorale appunto, che sarebbe acconsentire oggi all'uso del nostro olio salentino come biomassa!



Dall’esterno del sistema agronomico territoriale, questo messaggio valga come un tentativo di medicina somministrata dal mondo ambientalista salentino, che resterà inefficace se non sarà l’intero settore a reagire, ad enucleare le sue cellule malate e ad espellerle per potersi nuovamente rifortificare, al fine di continuare a far crescere in qualità, salubrità e ricchezza naturale il nostro Grande Salento!



Massimo Vaglio Cuoco, scrittore di gastronomia salentina e responsabile della L.I.D.A. Sez. Salento ha scritto:



L'idea di ridurre un olio provenieniente direttamente dalla molitura delle olive, benché lampante, in combustibile, mi sembra un'idea non solo economicamente passiva, ma anche illogica visto che sarebbe quanto mai opportuno valorizzarlo in ...ambito alimentare: abbiamo migliaia di prodotti alimentari zeppi di venefici grassi vegetali idrogenati, questi dovrebbero essere messi senza indugio fuorilegge, e dotrebbero essere sostituiti con l'olio d'oliva che anche quando sottoposto a non completamente innoqui trattamenti di deacidificazione e deodorazione, conserva dal punto di vista nutrizionale, qualità certamente superiori a quelle di quasi tutti gli altri grassi.



Giovanni Passeri Presidente della Federazione Regionale dell’Associazione Dottori in Scienze Agrarie ha scritto:



Olio lampante all’industria energetica*



La proposta di utilizzo dell’olio lampante, o le olive scadenti, per produrre energia da biomassa non credo possa risolvere il problema centrale dell’annosa “Questione agraria”, ossia rendere remunerativo il lavoro agricolo, equiparandolo a quello di altri settori produttivi.



L’esperienza di una vita nel mondo agricolo conduce ad una riflessione: ogni volta che i prodotti agricoli vengono avviati all’industria il valore aggiunto relativo è incamerato, quasi per intero, dall’industria, come conferma anche il brano che segue, ricavato da uno scritto del collega Ludovico Maglie:



“Oltre alle inevitabili conseguenze di medio periodo dovute alla scarsa diversificazione produttiva che, come la storia insegna (oltre che l’economia), porrebbe inevitabilmente l’agricoltore in posizione di debolezza contrattuale con l’unica differenza che sarebbe ostaggio di un tipo di industria (energia) invece che di un’altra (alimentare)” (Ludovico Maglie – Pres. ORDAF/LE).



Si è parlato e scritto molto di colture per biomasse, ma fino ad ora non mi risulta che qualche produttore agricolo sia riuscito ad incrementare il proprio reddito netto aziendale, introducendo questo tipo di colture.



Il discorso è estensibile a molte altre colture da industria, vedi il caso del pomodoro, del frumento ed in generale di tutti i prodotti destinati all’industria agroalimentare e non.



Se poi parliamo di incentivi pubblici il quadro potrebbe cambiare, ma di fatto ciò non accade, perché anche questi sono spesso dirottati alle imprese trasformatrici, valga per tutti il caso del pomodoro.



Tornando all’olivicoltura, c’è stato un periodo in cui gli incentivi comunitari erano pagati direttamente ai produttori, in funzione del numero di piante coltivate; questo ha contribuito molto alla conservazione degli oliveti tradizionali, ma con l’avvento del “disaccoppiamento” le cose sono cambiate e in peggio. Circolano voci, speriamo infondate, sulla abolizione totale degli aiuti comunitari all’olivicoltura.



Quando si parla di patrimonio paesaggistico e di colture finalizzate alla protezione dell’ambiente in generale, bisognerebbe precisare che i benefici relativi sono goduti da tutta la collettività, pertanto è questa che dovrebbe accollarsi gli oneri per il mantenimento; ma con la crisi economica in atto i fondi pubblici scarseggiano.



La Regione Puglia ha emanato una apposita legge per la protezione degli olivi di interesse storico paesaggistico, ma i costi per la sua attuazione saranno esorbitanti: censire gli olivi, registrarli e

sovvenzionare le spese per il loro mantenimento e la conservazione.



Se il quadro non cambia probabilmente assisteremo ha trasformazioni radicali spontanee, anche in barda alle leggi e regolamenti, quali l’abbattimento degli olivi, per sostituirli con altre colture, altamente meccanizzate e quindi più redditizie, la vendita degli olivi per scopi ornamentali, e perché no, gli impianti di pannelli fotovoltaici, che, nelle condizioni attuali, assicurano un rendimento dei capitali investiti notevolmente superiore a tutti gli altri investimenti fondiari; vi è poi l’ultima spiaggia: l’abbandono dei terreni e la fuga dei giovani dalle campagne.



Non ci facciamo illusioni, il bisogno primario del coltivatore è quello di incrementare il reddito aziendale, tutto il resto è poesia, che può trovare spazio solo dopo aver raggiunto un livello di vita decoroso o almeno simile a quella degli altri settori produttivi.



Si fanno molti convegni, troppi, nei quali si ascoltano prima i politici (forse sarebbe più corretto chiamarli “politicanti”), poi gli amministratori locali, poi i rappresentanti delle cosiddette “OO. PP.” e infine, se avanza tempo e quando la platea si è sufficientemente annoiata, possono parlare i tecnici e gli agronomi.



Sarebbe ora che noi Agronomi ci appropriassimo dello spazio che ci tocca per legge, a condizione che ci prepariamo adeguatamente, adottando le moderne tecniche e strategie della comunicazione.



Se non lo facciamo gran parte della responsabilità del sottosviluppo dell’agricoltura ricadrà su di noi, provocando la conseguente diffidenza degli operatori agricoli nei confronti degli Agronomi professionisti.



Spesso mi chiedo: ma i professionisti dell’agricoltura siamo noi Agronomi o le Organizzazioni Professionali di Categoria? Queste ultime dovrebbero svolgere compiti di tipo sindacale, ma se consideriamo i risultati attuali della politica agraria, ci rendiamo conto che nemmeno questo riescono a fare.



Rutigliano, 05/03/2011



Dr. Agr. Giovanni Passeri



Alessandria Isernia alex-is@libero.it ha scritto:

Una centrale da 24 MW a oli vegetali bruci circa 5 tonnellate l'ora di olio. Davvero il Salento produce una tale quantità di lampante? Se è così allora l'olivicoltura salentina non ha avuto alcun miglioramento qualitativo. Quindi le olive c...ontinuano ad essere raccolte da terra.

La verità è che il buon affare qui lo farebbe solo una certa azienda che fa energia rinnovabile, che, sì, garantirebbe un certo prezzo per un certo numero di anni per il lampante, ma di fatto così facendo si escluderebbe il salento dal mercato mediterraneo a tutto vantaggio di Grecia Spagna e Maghreb. L'energia prodotta da grandi impianti, come quello proposto, inoltre è destinata all'esportazione e non viene utilizzata in loco.

Faccio una proposta (che non richiede nemmeno di essere cantierizzata): si utilizzi l'olio lampante quando è in eccedenza come carburante per i mezzi pubblici.

Questo non vincolerebbe la produzione per fini energetici (abbassando ulteriormente la qualità) ma sarebbe solo una modalità ecologica di smaltire eventuali eccedenze. Con beneficio di tutti e non solo dei soliti noti.

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