sabato 9 gennaio 2010

La Provincia di Lecce deve valorizzare l’ambiente


La Provincia di Lecce deve valorizzare l’ambiente
di Antonio Bruno*

Non possiamo pensare all’agricoltura senza mettere al centro la relazione tra le piante, gli animali domestici e le persone umane. Specificamente, prima di tutte le altre, le donne, che si sono concentrate dalla raccolta più degli uomini, raffigurati in una perenne ricerca della preda, non per nulla si dice che l’uomo (inteso come maschio) è cacciatore.
Forse questa atavica predisposizione alla violenza di noi maschi ci ha privato dell’osservazione della vita che, se non viene distrutta, diviene fonte di sapienza perché il nostro corpo ubbidisce alle stesse leggi a cui ubbidiscono gli altri organismi viventi.
Se osserviamo le piante e gli animali, anche oggi che siamo persi e allucinati nella ricerca spasmodica di possedere sempre più cose, ferraglie o pietre, ci rendiamo conto che c’è un ciclo naturale a cui apparteniamo anche noi ma che, non è a nostro solo uso e abuso.
Eppure gli studiosi hanno stabilito che i nostri antenati dedicavano alla caccia e alla raccolta del cibo solo 3 o 4 ore al giorno e che, il resto del tempo, era impiegato per gli svaghi e per dormire. Saggezza assolutamente da imitare, perché se lo faremo ecco che la nostra esistenza assumerebbe un colore tutto nuovo.
Da questa “bella vita” le persone umane nostri antenati si sono dovuti lentamente distaccare perché con la prima glaciazione si spostarono verso territori più caldi, verso sud e ciò aumentò la densità di abitanti nel territorio e con questo aumento di popolazione le risorse, il cibo, inizia a scarseggiare. Questa pressione demografica non fa che mettere di nuovo in gioco la violenza, le lotte per il possesso del territorio e quindi, conseguentemente, avvennero nuovi allontanamenti, nuove migrazioni alla ricerca di nuovi spazi dei gruppi soccombenti.
Quando i ghiacciai si sciolsero per il riscaldamento, la Terra non tornò alle temperature che c’erano prima della glaciazione, ci fu prima una fase molto piovosa e siccome come ho scritto le temperature pur essendosi alzate non giunsero ai livelli di prima della glaciazione, ecco che l’evaporazione dei mari diminuì e, con essa, le precipitazioni. In quella fase cambiarono anche le direzioni dei venti e quindi le piogge si spostarono dai territori in cui precipitavano per cadere in altri territori.
Le piogge furono inferiori per intensità e durata e quindi la terra divenne più asciutta e di conseguenza, la vegetazione più rada, con alberi che producevano minori frutti avendo minore alimentazione e acqua, meno piante e quindi meno cibo per animali selvatici con conseguente diminuzione delle prede che venivano cacciate dai nostri antenati.
In effetti in quei tempi lontani si registrò un inaridimento della terra che mise in discussioni gli equilibri che c’erano tra persone umane e l’ambiente prima che della glaciazione.
Quando è iniziata la glaciazione i gruppi dei nostri antenati si sono spostati a sud verso nuove terre più calde, poi si sono fermati e hanno cominciato a riprodurre la vita, hanno inventato l’agricoltura e l’allevamento. Mi piace pensare che è come se ci fosse stata la riflessione che si poteva vivere non distruggendo quello che si trovava ma costruendo quello che poi si sarebbe distrutto.
Supposizioni, ipotesi, ma non abbiamo la risposta.
Come si è passati dalla bella vita nomade di 2 o 3 ore di caccia e raccolta di semi e frutti, alla vita stanziale in cui si mangiava e si viveva grazie prima l’agricoltura che richiede fatica e impegno e poi l’allevamento che, se volete, ne richiede ancora di più ?
“Nell’evoluzione umana, all’agricoltura si giunge assai tardi… e il progresso tecnico di tale arte è altrettanto lento, giacché fino agli ultimi due secoli della nostra èra esso si svolge senza rivolgimenti, atti a modificare alla radice gli interventi millenari dell’uomo nella vita del suolo: la durata del periodo “rivoluzionario” recente supera quindi di poco il due per cento dell’esistenza dell’agricoltura stessa.” Così scriveva nel 1964 Giovanni Hausmann e quindi posso affermare che questo periodo rivoluzionario ha manifestato i suoi effetti sconvolgenti sul sistema naturale, che era quello che dava da vivere ai nostri antenati costringendoli a cacciare o raccogliere per solo 2 o 3 ore, ma anche su quello tradizionale, che per millenni è stato strettamente legato ai canoni tecnici del risparmio delle risorse, dalle origini dell’agricoltura sino alle soglie della civiltà industriale.
E’ necessario che tutti iniziamo a riflettere sul territorio che ci circonda, che ripeto è SOPRATTUTTO TERRITORIO RURALE anche per prevenire quelle svolte irreversibili che la questione ambientale sta solo ora mettendo a nudo.
Il Salento leccese è alle prese con un futuro incerto. È arrivato il momento di ripensare le vocazioni e di rivedere le strategie per un rilancio del nostro territorio.
Il territorio in cui viviamo non può permettersi di trascurare gli aspetti di sostenibilità dello sviluppo economico in linea con la “strategia di Lisbona”, che vede in Innovazione e Sostenibilità gli assi su cui deve crescere la nuova Europa.
La lettera aperta del collega Dottore Agronomo Antonio Stea relativa ai 9 avvisi pubblici approvati con D.D. n.2893 del 29/10/2009 che è favorevole alla "delocalizzazione" delle competenze in ambito formazione ci rende consapevoli che dalle graduatorie emanate una quasi insignificante parte, meno del 3 % dei corsi finanziati, ha valenza nell’ambiente agricolo che come a tutti noto è l’ambiente in cui viviamo.
Il Territorio può e deve valorizzare l’Ambiente, che è per la quasi totalità AMBIENTE AGRICOLO e prima di valorizzarlo deve anzitutto proteggerlo. Come ottenere questo obiettivo? I Dottori Agronomi e i Dottori Forestali hanno le carte in regola per farlo! Possediamo un potenziale di conoscenza che deriva dalla nostra esperienza e dalla nostra storia ma prendiamo atto che il territorio sembra non saperlo e, per questo motivo, lo ricordiamo a tutti gli attori e, primi tra questi, ai nostri rappresentanti politici.

*Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master’s Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).

Nessun commento:

Posta un commento