venerdì 25 dicembre 2009

Tre nuovi modelli di agricoltura per tre aziende “integrate”


Tre nuovi modelli di agricoltura per tre aziende “integrate”
Impresa, territorio e qualità vanno coordinati con precise strategie e risorse


Il mondo agricolo attraversa un momento di profonda incertezza: da un lato incombe la crisi dei prezzi che colpisce tutto il settore con quotazioni depresse ben lontane dai valori dell’ultimo biennio, dall’altro pesa soprattutto la mancanza di prospettive chiare e di una strategia che apra la strada alla speranza.Il singolo agricoltore affronta una situazione in cui è sempre più difficile seguire una logica imprenditoriale economicamente efficace.L’agricoltura, almeno nei paesi dell’Europa comunitaria, sembra un settore residuale a cui vengono affidati obiettivi di carattere vago, ma certamente sempre meno produttivi, in un mondo che vorrà quantità crescenti di alimenti.In un quadro ricco di contraddizioni e povero di indicazioni ci si interroga sul futuro.Il contesto da affrontare è complesso: la ridotta sensibilità nei confronti dell’agricoltura da parte della società europea, la drastica riduzione del sostegno della Pac, le prospettive delle trattative internazionali alla Wto, l’impatto della crisi economica mondiale devono coesistere con la realtà di un mondo che ha fame e sempre più avrà bisogno di prodotti alimentari. Ciò indica come prioritaria l’esigenza di produrre di più e in modo sempre più efficiente, ma questo obiettivo è ostacolato dalla situazione esterna al settore agricolo e dai suoi intrecci con il normale decorso degli eventi.In campo economico le scelte liberiste, residuate dai tempi ante crisi, si integrano male con il diffuso protezionismo dettato dalla crisi. Servirebbe maggiore competitività per affrontare la crescente concorrenza, ma vengono imposte regole sempre più restrittive dettate spesso da preoccupazioni extra agricole.LE SOLUZIONI E I VINCOLIIn un contesto così contraddittorio occorre individuare una traccia da indicare all’agricoltura che opera senza una chiara strategia di politica agraria e senza una guida coerente.Eppure è evidente che tutti i tentativi da mettere in atto passano attraverso tre fatti fondamentali: la razionalizzazione produttiva, con la ricerca delle economie di scala e l’ottimizzazione dei processi, la valorizzazione economica delle produzioni, grazie ad adeguate strategie di mercato e alla difesa dei prodotti sul piano commerciale, la capacità di produrre innovazione unita alla concreta possibilità di usarla per far fronte alle necessità tecniche ed economiche.Non è così semplice seguire questa traccia. Infatti ogni tentativo si scontra con vincoli di diversa natura e quindi si è costretti ad operare scegliendo ciò che è possibile, rinunciando alle soluzioni migliori.Vi sono diversi tipi di vincoli come quelli contenuti nelle norme di tipo sanitario, ambientale, contrattuale, fiscale, commerciale. Quello maggiore è dato dalla Pac, dalle sue evoluzioni nel tempo e dall’applicazione nazionale e regionale che essa incontra. Gli altri nascono dalle comunità locali che impongono sempre nuove regole senza tenere conto del loro impatto sull’agricoltura.La preconcetta avversione a ogni tipo di innovazione, poi, impedisce la diffusione del progresso scientifico e delle nuove tecnologie e, anzi, favorisce il ritorno improbabile a tecniche superate e inefficienti oltre che negative sul piano ambientale.La politica agraria si orienta verso soluzioni minimaliste come l’esagerazione gastronomica, i mercati locali, il Km zero, un’enfasi eccessiva sulle denominazioni, spesso economicamente deludenti, sul biologico, sul benessere animale, senza preoccuparsi di stimolare la produzione agricola indispensabile a sostenere tutto ciò.UN QUADRO DA RICOMPORREIn una situazione così confusa non bisogna smarrire il senso delle cose facendosi prendere la mano dagli eventi. Occorre capire che i concetti di “impresa”, “territorio” e “qualità” da soli non bastano più, ma devono agire tutti insieme. I limiti dei tre concetti sono noti, per l’impresa: la situazione è sempre più difficile, con problemi di ritorno economico, disaffezione e malcontento; per la qualità: dando per risolto il problema della definizione, ci si scontra con la carenza delle materie prime necessarie e delle tecnologie di produzione più opportune, oltre che con l’equilibrio costi/ricavi; per il territorio: ottica forzatamente limitata, difficoltà dei distretti a inserirsi nel quadro dei vincoli sono solo alcuni limiti.Unendo impresa e territorio, grazie alle vocazioni produttive e alle potenzialità dell’ambiente locale, poi si hanno i problemi delle produzioni di massa, prezzi bassi, forte competizione. Unendo impresa e qualità, troviamo produzioni di nicchia, mercati piccoli, facilmente contendibili, soggetti alle mode. Abbinando territorio e qualità, arriviamo alle produzioni tipiche con i limiti che conosciamo, il costo del sostegno e della difesa, la difficoltà di raggiungere volumi adeguati, la mancanza di materia prima locale adatta a sostenerne l’offerta.Il vero problema è la competitività e la soluzione per arrivare ad essa (vedi fig.1) porta a coordinare i tre concetti insieme, ma servono precise strategie, risorse da investire e linee guida, altrimenti siamo fermi a soluzioni empiriche, casi singoli, che tuttavia contengono molte preziose indicazioni per un quadro che deve essere ricomposto.SOLUZIONI EMPIRICHELe soluzioni empiriche nascono sotto i nostri occhi dalla ricerca quotidiana degli agricoltori, che cercano di sottrarsi alla morsa della situazione generale e dei vincoli. Dall’osservazione della realtà si possono ricavare almeno tre modelli per un nuovo modo di “fare” agricoltura, tre tipi di aziende integrate a cui ci riferiamo indicandoli come “complessi” (vedi fig.2):1) il complesso produttivo e di trasformazione “grandi colture”;2) il complesso “agricolo-zootecnico” nuovo;3) il complesso “agricolo-commerciale integrato”, prevalentemente orticolo.GRANDI COLTUREIl modello “grandi colture” integra su larga scala le produzioni realizzate nei cosiddetti seminativi della Pac (cereali, oleaginose, colture industriali) con le fasi successive di lavorazione e utilizzo del prodotto agricolo. Si può riscontrare in diversi contesti produttivi e può comprendere anche le attività di produzione per usi energetici con esigenze produttive differenti rispetto all’agricoltura tradizionale. Il suo obiettivo principale è l’efficienza dei processi produttivi e l’ottimizzazione delle risorse disponibili, quindi non include necessariamente solo grandi aziende, anche se punta su una forte concentrazione di produzione e di offerta per conseguire un maggiore potere contrattuale e volumi di offerta significativi a fronte di una domanda molto concentrata.AGRICOLO-ZOOTECNICOIl nuovo modello “agricolo-zootecnico” si diffonde specialmente nelle aree di zootecnia intensiva della Pianura Padana e nasce dalla crescente spaccatura che si determina nel “vecchio” modello cerealicolo-zootecnico, con la separazione fra l’attività di produzione di alimenti per il bestiame e quella di allevamento che deriva dalle esigenze del contesto zootecnico. Si fonda sulla specializzazione produttiva spinta e sull’utilizzo ottimale delle risorse alimentari producibili in un certo territorio e quindi integra grandi allevamenti con produttori di varia dimensione che si orientano a produrre alimenti per il bestiame da cedere agli allevamenti. Il suo obiettivo è l’ottimizzazione del processo complessivo, pur segmentato nelle due fasi rispetto al passato, insieme alla ricerca di efficienza del complesso grazie alla specializzazione. Spesso implica un forte ricorso al contoterzismo per le aziende minori che, per motivi diversi, non sono più zootecniche, ma si integrano nel modello su scala territoriale.AGRICOLO-COMMERCIALEIl modello “agricolo-commerciale integrato”si riferisce in prevalenza a orticole di pieno campo, ma può essere esteso anche alle colture frutticole e presenta come caratteristica chiave una forte integrazione con gli acquirenti, grande distribuzione o industria di trasformazione. Si diffonde in particolare nelle aree dove subentra alla cerealicoltura o alle colture industriali. Esso prevede una forte integrazione delle fasi di produzione agricola anche con territori lontani, ma complementari come tempi e caratteristiche dell’offerta, e di “servizio” agli acquirenti.Queste comprendono, ad esempio, garanzia di costanza qualitativa e rispetto quantitativo delle forniture, presentazione di un’offerta “tagliata” sulle esigenze della domanda, conservazione della costanza dell’offerta anche al di là dei problemi di stagionalità legati ad un certo territorio, si pensi ad esempio alle produzioni di IV gamma. Il modello punta a una maggiore presenza nelle fasi a valle della produzione, recuperando valore aggiunto, assicurando la certezza del collocamento del prodotto in termini di prezzo e di quantità grazie all’ottimizzazione delle caratteristiche dell’offerta, ad un’elevata efficienza ed alla specializzazione sia della produzione sia delle fasi successive grazie alla costruzione di adeguate piattaforme di supporto.DOV’È IL FUTURO?Le logiche e le caratteristiche dei tre modelli, riassunte nello schema della fig.3, inducono a sviluppare alcune riflessioni conclusive, non necessariamente definitive, che aprono la strada della discussione sul futuro.Nell’evoluzione del sistema agricolo che abbiamo delineato vi sono alcuni punti chiave che cercheremo di sintetizzare per avviare il ragionamento.Innanzitutto si riscontra il passaggio dall’azienda tradizionale ad aziende diverse, che si avvalgono di strumenti nuovi o già esistenti, come il contoterzismo utilizzati in modo innovativo e che stringono rapporti con le altre aziende agricole del territorio.L’integrazione crescente sia con queste, sia con aziende commerciali o industriali è un secondo aspetto importante che emerge. I nuovi complessi si propongono di produrre con forti logiche di ottimizzazione colturale ed economica grazie all’introduzione di innovazione di processo, di prodotto e organizzativa. Ciò implica stretti collegamenti da un lato con l’evoluzione degli aspetti scientifici e dall’altro con il quadro economico e sociale che influenza la domanda dei prodotti. Proprio quest’ultima, e siamo alla terza considerazione, impone la necessità di costruire standard qualitativi alti, pur mantenendo costi competitivi.In definitiva, diviene strategico conseguire l’obiettivo di rendersi indispensabili agli acquirenti per il prodotto e i servizi forniti insieme ad esso. Ciò implica spostare più a valle il confine dell’attività agricola per recuperare una parte del valore aggiunto che oggi fluisce verso altri settori sommando così, al valore aggiunto agricolo, quello che deriva dalla cessione dei servizi che la fase agricola riesce a integrare.Questo è, a nostro avviso, il messaggio profondo dell’evoluzione in atto, quello che indica la strada per il futuro dell’agricoltura, nonostante l’incertezza del presente.*Articolo tratto dagli atti dell’incontro tenutosi presso la Società Agraria di Lombardia, a Milano, dedicato al tema “Impresa, territorio e qualità: pilastri del futuro agricolo”, relatori Tommaso Maggiore e Dario Casati.
Dario Casati - Terra e Vita
PER APPROFONDIRE
Terra e Vita n. 45/2009

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